Mi è stato chiesto un parere su queste miscele e sul loro utilizzo come tensioattivi per uso industriale e in detergenza. Vi sono alcune pubblicazioni interessanti che parlano delle possibili applicazioni degli SBO, sulla base di test e prove pilota condotti da ricercatori dell’Università di Torino, Catania, Foggia e Sao Paulo (Brasile), nonché del CNR.
Gli SBO provengono da vari rifiuti urbani sottoposti ad alcuni processi chimici: frazioni umide (da raccolta differenziata) “digerite” con fermentazione anaerobica, compost vegetale da residui di giardinaggio, fanghi di depuratore di reflui urbani.
Gli utilizzi proposti vanno da emulsionanti per uso industriale (per es.: tensioattivi per detersivi, emulsioni oleose per lavorazioni metalmeccaniche, disperdenti per colori nell’industria tessile) a fertilizzanti in agricoltura, all’alimentazione alimentare (come additivi).
Trovo interessante e lodevole l’intento di riutilizzare i rifiuti, invece di smaltirli in modo costoso e inquinante. Per quanto riguarda gli utilizzi, sono convinta che alcuni di essi vadano preceduti da indagini di tipo tossicologico, ancora non affrontate negli studi citati: in detergenza, è molto importante verificare se una sostanza possiede tossicità a lungo termine, ossia se è cancerogena, se è dannosa per DNA e cromosomi, oppure se è tossica per il ciclo riproduttivo o se interferisce con il sistema endocrino. Ancora maggiore è l’importanza di tali studi in campo agroalimentare.
Peraltro, l’eterogeneità e la non costanza delle molecole, che compongono gli SBO fanno pensare che anche i risultati delle analisi tossicologiche possano essere non riproducibili.
Se si trattasse solo di bucce di mela e sfalcio di giardini (purché esenti da pesticidi), i dubbi non mi verrebbero. Probabilmente è trascurabile la presenza di sostanze tossiche nei materiali provenienti dalle cucine (anche se residui di carbonizzazione e di olii esausti, additivi vari, acrilammide e altre sostanze andrebbero investigati e misurati, prima di poterli considerare trascurabili), così come la presenza di pesticidi nel verde; ciò che ritengo sia preoccupante è invece l’utilizzo dei fanghi di depurazione. È noto infatti che molte sostanze non biodegradabili, fra le quali alcune tossiche, vengono adsorbite dai fanghi medesimi durante i processi di depurazione. Si parla di xenobiotici organici, che annoverano benzene, toluene, fenolo, varie molecole clorurate, IPA (idrocarburi policiclici aromatici, fra cui il benzo-a-pirene), ftalati, pesticidi (quali aldrin, dieldrin e altri) e le immancabili diossine. Il fatto che tali fanghi non vengano smaltiti (e quindi resi inoffensivi), bensì possano essere riutilizzati per creare fertilizzanti per i campi (cosa che già peraltro avviene) o alimenti per bestiame mi lascia perplessa; idem per i componenti di detersivi.
Riferimenti bibliografici:
– A. K. N. Vargas et al. “Use of Biowaste-Derived Biosurfactants in Production of Emulsions for Industrial Use” Ind. Eng. Chem. Res., 2014, 53 (20), pp 8621–8629 [DOI: 10.1021/ie4037609]
– O. Sortino et al. “Benefits for agriculture and the environment from urban waste” Science of the Total Environment 487 (2014) 443–451 [DOI: 10.1016/j.scitotenv.2014.04.027]
– “La tossicità dei fanghi di depurazione – Presenza di xenobiotici organici” a cura di Pier Luigi Genevini – Fondazione Lombardia per l’Ambiente, Milano (1996)