L’acqua del rubinetto e’ potabile e batteriologicamente pura; responsabile della sua sicurezza per la salute e’ il Gestore dell’acquedotto, al quale bisogna rivolgersi in caso di dubbi sulla qualita’ dell’acqua erogata.
I valori di concentrazione ammessi per alcuni parametri (es.: nitrati) sono addirittura piu’ bassi rispetto a quelli ammessi nelle acque in bottiglia, per i quali parametri l’acqua del rubinetto e’ da ritenersi ancora piu’ sicura.
Nell’acqua di rubinetto possono tuttavia essere presenti i residui dei processi di potabilizzazione (genericamente siglati DBP), che comunque sono presenti in quantita’ non dannose per la salute.
Il mio docente di tesi, il coltissimo prof. Riganti (Ordinario di Chimica Merceologica, Univ. Pavia), mi ha sempre consigliato di bere l’acqua del rubinetto perche’ e’ igienicamente sicura. Aggiungo io che e’ un servizio per la comunita’ che va sfruttato non solo per l’igiene personale o per lavare la macchina: e’ un bene di elevata qualita’ e di basso costo per le famiglie.
Ricordo che lo stesso professore, insieme ad altri illustri colleghi, spiegava bene in un convegno qualche anno fa (“Acque confezionate per il consumo umano”, 24a Giornata di Studio di Ingegneria Sanitaria e Ambientale, Univ. Studi Brescia, 12/12/2003) un accorgimento atto ad evitare di esporsi a un certo tipo di inquinanti, provenienti non gia’ dall’acquedotto, bensi’ da tubi e rubinetterie di casa.
Egli consigliava, in caso di mancato utilizzo del rubinetto per un paio di giorni o piu’, di far scorrere per un po’ l’acqua del rubinetto, in modo da essere sicuri di aver vuotato il tratto di tubazione che presumibilmente era rimasto pieno di acqua stagnante nei giorni passati, prima di usarla da bere o per cucinare.
La ragione risiede nella composizione chimica dei rubinetti: la grande maggioranza di essi e’ fatta di ottone (ossia una lega rame-zinco) addizionata di piombo. La lega ternaria di questo tipo maggiormente utilizzata e’ cosi’ formata: CuZn40Pb2. Il piombo e’ messo per migliorare la lavorabilita’ della lega metallica da parte delle macchine utensili che producono i rubinetti.
Se si fanno due calcoli, tale lega contiene il 13,4% in peso di piombo. Fra i 3 metalli contenuti, e’ quello con il maggiore impatto sulla salute umana, sebbene anche gli altri non siano esenti da tossicita’ se assunti in concentrazioni elevate.
Il fatto e’ che, da analisi effettuate, l’acqua che e’ rimasta per molte ore dentro un rubinetto di ottone al piombo, oppure nella tubazione adiacente al rubinetto, e’ particolarmente carica di metalli pesanti e in particolare di piombo, originati per cessione proprio dal rubinetto.
E’ sufficiente far scorrere l’acqua per pochi minuti, per eliminare in massima parte questo inconveniente.
Per quanto riguarda il contenuto in altri metalli pesanti, quali il Cr VI (cromo esavalente), e i timori legati alle loro tossicità a lungo termine pur se presenti in concentrazioni permesse dalla legge per le acque potabili, rimando agli articoli pubblicati nella categoria Inquinamento.
Riferimenti:
Consigli sui componenti di una cucina
Wikipedia sull’ottone
Istituto Italiano del Rame
Brevemente (per ora), a chi mi pone domande sugli impiantini domestici di addolcimento-filtrazione delle acque di rubinetto vorrei dare alcuni consigli:
a) installateli solo se avete davvero bisogno di modificare le proprieta’ organolettiche dell’acqua del vostro rubinetto, oppure se la vostra acqua e’ eccessivamente alcalina e i vostri elettrodomestici ne soffrono. L’acqua di durezza normale (20°-25°F) in genere non necessita di tali trattamenti per essere bevuta;
b) se l’impianto che avete installato e’ dotato di resine a scambio ionico, l’acqua che ne esce non solo sara’ poco calcarea, ma anche molto carica di ioni sodio (controindicati in caso di ipertensione arteriosa), quindi va assunta con grande cautela, senz’altro meglio se miscelata con acqua non trattata;
c) se nell’impianto ci sono i carboni attivi (che non servono per trattenere i nitrati, bensi’ solo per declorare e per trattenere altre sostanze), per legge l’acqua che esce da essi deve essere trattata da un apposito dispositivo di disinfezione (lampade UV, clorazione, argento) perche’ diventano facilmente sede proliferativa di batteri.
d) L’eventuale dispositivo di osmosi inversa a mio parere puo’ diventare anch’esso sede di batteri, se portato oltre la sua durata consigliata. Va citata la ricerca di Altro Consumo nr. 164 del 2003, in base alla quale talvolta i batteri iniziano a svilupparsi in modo considerevole perfino prima della scadenza dei dispositivi.
Mi e’ stato riferito che taluni installatori non solo non effettuano analisi chimiche e/o batteriologiche ne’ prima (per verificare l’effettiva necessita’ o meno di applicare l’apparecchiatura e con quale dimensionamento) ne’ dopo l’installazione (per verificarne se non altro il buon funzionamento), ma si defilano nel caso che cio’ venga loro richiesto, adducendo scuse varie, quali la non responsabilita’ in merito.
Fermo restando che questo aspetto delle responsabilita’ andrebbe chiarito dal punto di vista giuridico, consiglio agli utenti di far analizzare periodicamente le acque in uscita da questi apparecchi dal punto di vista microbiologico, nel caso che venga abitualmente bevuta.
e) Le lampade UV usate per la disinfezione sono di per se’ un buon dispositivo, che pero’ ha bisogno anch’esso della sua manutenzione. Ponendo che la lampada UV sia giustamente dimensionata (e quindi sia sufficientemente potente per la sua destinazione d’uso), va tenuto controllato il grado di usura, in quanto superata la sua durata massima essa perde man mano potenza e capacita’ di disinfezione.
Approfondimento: Societa’ Italiana Trattamento Acque S.r.l.
L’installazione di questi apparecchi in ambiente domestico e’ regolamentata dal Decreto Ministeriale n. 443 del 21/12/1990 – Regolamento recante disposizioni tecniche concernenti apparecchiature per il trattamento domestico di acque potabili (G.U. 26/01/1991, n. 24).