L’offerta di detergenti per la casa e per la persona si è moltiplicata, dal dopoguerra ad oggi; negli ultimi anni si sono diffusi in particolare ipermercati e centri commerciali, che, coadiuvati da una massiccia pubblicità sui media, hanno dato un impulso decisivo alla diffusione delle grandi marche.
Generalmente gli spot pubblicitari fanno leva sulle caratteristiche visive e olfattive dei prodotti lavati con i detersivi, spingendo sempre più il mercato verso il consumo di prodotti profumanti e, nel caso del bucato, artificiosamente sbiancanti.
Quest’operazione necessariamente NON tiene conto nè delle problematiche legate al rispetto dell’ambiente, nè delle ricadute sulla salute di bambini e adulti, proprio per la natura delle sostanze utilizzate per il raggiungimento di tali obiettivi di marketing.
Questa scarsa propensione alla tutela di ambiente e salute si manifesta anche e soprattutto nella scelta degli ingredienti deputati alla vera e propria azione lavante: sostanze sì efficaci (anche se non sempre…), ma poco o per nulla biodegradabili e troppo spesso tossiche.
Da alcuni anni alcuni produttori piccoli e medi hanno deciso di fare scelte formulative più etiche, specialmente sotto il profilo ecologico. Per certificare tali scelte, sono nate normative standard ecologiche (l’europea Ecolabel, la svedese Good Environmental Choice, etc.) a cui fanno riferimento anche gli enti che fanno parte della Pubblica Amministrazione, quando vogliono fare acquisti “verdi” (protocollo GPP, Green Public Procurement).
In alternativa a questi standard, vari enti certificatori privati (ICEA, AIAB, CCPB, etc.) hanno creato disciplinari che garantiscono la parziale origine da agricoltura biologica dei detersivi.
Molto resta ancora da fare, soprattutto perchè gli standard e i disciplinari ecologici esistenti sono spesso frutto di compromessi fra l’ecologia e la necessità di ottenere prodotti vendibili, ossia dotati di sufficiente efficacia rispetto ai detergenti convenzionali. In più, viene quasi sempre sacrificata la tutela della salute dell’utente. Le certificazioni più serie hanno invece il difetto di essere piuttosto costose e di restare poco accessibili alle aziende serie ma piccole.
Anche nel settore della detergenza ecologica esiste, come in tutti i settori, il problema dell’informazione degli utenti: una scelta consapevole dei prodotti da utilizzare puo’ essere fatta con la conoscenza dell’argomento da parte dell’utente, ma… qui sta il difficile! Chimica e Tossicologia sono materie particolarmente lontane dalla maggior parte dei consumatori.
I cittadini tendono così a fidarsi di fonti che siano in grado di fornire informazioni “filtrate” e disposte – diciamo così – su un piatto d’argento, possibilmente senza spiegazioni tecniche, pronte per il consumo. Ecco così l’avvicendarsi di elenchi di sostanze “buone” e “cattive”, ognuna con la propria informazione minimale (un semaforo o simili), servita come “dogma” indiscutibile…
Chimica e tossicologia sono scienze in evoluzione. Le normative europee sulle sostanze chimiche (le norme REACH prima di tutto) stanno diventando sempre più restrittive, a tutela della salute dei cittadini e dell’ambiente, e obbligano i produttori delle sostanze stesse a effettuare valutazioni di rischio sempre più profonde.
La scoperta di tossicità nuove (come l’interferenza con il sistema endocrino, per esempio) apre nuovi orizzonti di approfondimento.
I “semaforini”, oltre a essere inconsistenti dal punto di vista scientifico, non rendono comprensibile neppure ai tecnici la modalità con cui è stato attribuito un grado di rischio piuttosto che un altro, a una sostanza rispetto a un’altra.
La vera chiave per scegliere con consapevolezza risiede, come sempre, nella conoscenza e nell’approfondimento.
Le valutazioni che un tecnico dà alle sostanze devono essere sempre spiegate, nonché riconducibili a fonti che siano validate (ossia riconosciute come attendibili dagli enti pubblici e dalle università) e disponibili alla pubblica consultazione.