Gli allergeni presenti sui vestiti

Fra le maggiori cause di allergie associate ai tessuti utilizzati nell’abbigliamento, vi sono i coloranti e la formaldeide. Le reazioni allergiche e di sensibilizzazione sono sempre favorite da fattori di tipo fisico, quali: l’abrasività dei tessuti sulla pelle; il fatto che un indumento sia particolarmente aderente; la scarsa traspirabilità con ristagno del sudore e aumento della capacità di penetrazione dell’allergene nella pelle; il calore. Alcune informazioni pratiche sono presenti anche su http://www.bensos.com/rendere-piu-sicuri-gli-indumenti-appena-acquistati/.

I coloranti vengono scelti a seconda del tipo di tessuto e possono essere di vari tipi: “in dispersione”, azoici, basici, reattivi. I legami che creano con i tessuti dipendono dalla loro natura chimica e possono essere più o meno stabili; più è stabile il legame fra colorante e tessuto, minore sarà il rischio di rilascio della sostanza e di assorbimento da parte della cute.

I coloranti “in dispersione” sono utilizzati soprattutto per tessuti sintetici; si fissano sulle fibre in modo poco tenace e hanno quindi tendenza a migrare. In più, le loro molecole hanno una natura lipofila, quindi tendono a bioaccumularsi nell’organismo. Sono fra i principali coloranti allergizzanti; fra essi, in particolare, il nero, il blu scuro e il verde scuro.

Un altro agente allergizzante, da anni oggetto di indagini da parte della comunità scientifica che ne ha dimostrato l’azione cancerogena, è la formaldeide. Sui tessuti, in genere viene rilasciata da resine che vengono applicate come finitura dopo la tintura, con funzione di fissativi e per migliorare le caratteristiche fisiche delle fibre. Tali resine possono essere di vari tipi, modificati e migliorati nel tempo anche per far sì che cedessero minori quantità di formaldeide. La resina di utilizzo più recente è la dimethylol dihydroxyethyleneurea (DMDHEU); è presente sui tessuti in cotone e misto cotone-poliestere e viene applicata per rendere il tessuto più forte, prevenirne il restringimento e renderlo meno soggetto a stropicciarsi. È meglio della formaldeide ma, oltre a essere un allergene, i suoi metaboliti (ossia le sostanze che si ottengono dopo l’assimilazione da parte del sistema digestivo umano) esercitano un’azione mutagena (Ames test).

Le normative sono sempre più restrittive nei confronti della formaldeide e delle sostanze che possono rilasciarla, infatti nei tessuti realizzati a norma di legge vengono trovate quantità di formaldeide relativamente basse. Tuttavia, si hanno comunque casi di manifestazione allergica alla formaldeide rilasciata da questi tessuti. Si ipotizza che la fase iniziale di sensibilizzazione, che richiede concentrazioni di questa sostanza più elevate rispetto a quelle permesse, sia associata alla precedente esposizione alla formaldeide da altre fonti, per esempio attraverso prodotti cosmetici o detergenti: alcuni conservanti (DMDM-Hydantoin, Diazolidinyl urea e altri) si chiamano infatti “precursori di formaldeide“, in quanto la sprigionano nello svolgere la loro azione di controllo dei microbi. Ulteriori sorgenti di formaldeide possono essere colle e adesivi, vernici e lacche, nonché i mobili realizzati in compensato o truciolare di legno. L’ipotesi è che le persone si sensibilizzino con le alte dosi a cui sono esposte dalle altre fonti; in seguito, per scatenare la risposta immunitaria sono sufficienti le piccole dosi ammesse nei tessuti. Ecco così che l’allergia appare associata alla formaldeide contenuta nei tessuti. Questa ipotesi può servire a capire meglio le cause, purtroppo non risolve comunque il problema: si capisce solo che, in determinate condizioni, anche bassissime dosi di formaldeide sono sufficienti a scatenare reazioni allergiche e di ipersensibilizzazione.

Esistono anche resine fissative per tessuti che non contengono formaldeide, quali la Dimethyl dihydroxyethyleneurea (DMeDHEU) e il Butanetetracarboxylicacid (BTCA). Hanno costi maggiori, quindi l’utilizzo non è ancora molto diffuso; vengono usati per l’abbigliamento per bambini.

Bisogna considerare anche la possibilità che i tessuti non siano a norma di legge. La normativa europea REACH impone che i prodotti (abbigliamento, giocattoli, etc.) importati da Paesi extraeuropei vengano sottoposti ad analisi che escludano la presenza, in concentrazioni non permesse, di numerose sostanze chimiche, in particolare di quelle incluse nella lista delle VHC (Very High Concern substances); tuttavia molti prodotti “saltano” questi controlli. Da parte del produttore non c’è sempre malafede, come si sarebbe portati a pensare: molti piccoli produttori cinesi, per esempio, non sono a conoscenza delle leggi restrittive che impongono i controlli nei Paesi europei. Leggi che, in Cina e in molti Paesi asiatici dove spesso sono collocate le aziende di produzione, non valgono. Sta agli importatori l’obbligo e l’onere di effettuare i controlli e di certificare la sicurezza dei prodotti; purtroppo non sempre questi controlli vengono effettuati.

In Europa le sostanze non permesse, o di cui il limite massimo stabilito è veramente bassissimo, sono parecchie: fra esse, metalli pesanti come il nickel (allergene) e il cromo VI (tossico), coloranti azoici che rilasciano ammine aromatiche, clorofenoli usati come antimuffa, varie molecole usate come ritardanti di fiamma, ftalati e altri plastificanti contenuti negli accessori (bottoni, cerniere, etc.).  Alcune di queste sostanze possono dare allergie e un capo di abbigliamento, se è stato realizzato in uno stabilimento in cui non si tiene conto delle normative europee, potrebbe contenerne.

Fonti:  Toxnet; B Kakande, “Clothing contact dermatitis”, Current Allergy & Clinical Immunology (2015) Vol 28, nr 1; Rietschel RL, Fowler JF. Fishers Contact Dermatitis 4 th edition, Williams and Wilkins 1995; 358-413; Brookstein DS. Factors associated with textile pattern dermatitis caused by contact allergy to dyes, finishes, foams and preservatives. Dermatol Clin 2009;27(3):309-22