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Perché quando vedo “PVC in offerta” mi vengono i brividi…

Il PVC (polivinil cloruro) è un materiale largamente utilizzato e diffuso nella vita di tutti i giorni: tubi dell’acqua, giocattoli rigidi o semirigidi (bambolotti, piccoli giocattoli), giochi gonfiabili, parti di automobili, vestiti impermeabili, utensili da cucina, teli per camion e nautica, teli per capannoni e tensostrutture, bottiglie e contenitori per alimenti, adesivi e vetrofanie, dispositivi medico-chirurgici, calzature, pelletteria, etc.

Dal punto di vista dell’ambiente e della salute, questa diffusione è molto inquietante per una serie di ragioni:

  • la produzione presenta delle criticità: il “monomero” con cui viene prodotto questo tipo di plastica (che è un “polimero”, ossia una specie di collana formata da tanti anellini, ognuno dei quali è un monomero) è il tristemente famoso MVC (monovinil cloruro), che tanti danni ha creato a Marghera e in altre zone d’Italia prima che le normative sui residui nell’ambiente fossero rese più restrittive. Alla sua azione cancerogena sono potenzialmente esposti soprattutto i lavoratori addetti alla produzione di PVC, ma non solo: il MVC viene rilasciato lentamente anche dal PVC esposto a lungo al sole.
  • le sostanze che vengono aggiunte nella fase di produzione, dette “plastificanti“, possono anch’esse essere sprigionate nel tempo dal PVC. Fra esse vi sono gli ftalati, sostanze dotate di varie tossicità a lungo termine, fra cui l’interferenza con il sistema endocrino. A tal proposito, si veda questo mio articolo.
  • la combustione incontrollata o mal gestita del PVC porta alla formazione delle diossine, che sono fra i maggiori cancerogeni esistenti. Tale tipo di combustione si verifica, per esempio, quando viene appiccato il fuoco alla spazzatura, come accade talvolta in alcune zone d’Italia denominate “terre dei fuochi”: in questi focherelli le temperature di combustione sono troppo basse. La temperatura alla quale le diossine eventualmente presenti vengono distrutte è infatti ben 800°C; negli inceneritori in cui le diossine vengono “intrappolate” e distrutte prima che escano nell’ambiente, come quello di Brescia, le temperature delle camere di abbattimento delle diossine superano i 1000°C.

Ecco perché, quando leggo che il tal prodotto in PVC è “in offerta” mi vengono i brividi: bisognerebbe davvero che cambiasse la cultura dell’utilizzo dei materiali plastici e che l’uso del PVC, in particolare, venisse limitato agli oggetti strettamente necessari (medicali e simili), mentre per gli altri usi lo si sostituisse con qualcosa di meno pericoloso. A partire dalla produzione di giocattoli.

Bibliografia breve: sito AIRC con vari link istituzionali; numerosi articoli di letteratura scientifica, fra cui per esempio M. Zhang et al. “Dioxins and polyvinylchloride in combustion and fires”, Waste Manag Res. 2015.

Il forno a microonde

Il forno a microonde è un attrezzo molto utile in cucina. Ho analizzato le informazioni più aggiornate per capire se è davvero dannoso come molti dicono, oppure se si può utilizzare in sicurezza.

Innanzitutto le microonde sono onde elettromagnetiche, tanto quanto la luce visibile, le onde radio, i raggi X e tanti altri tipi di onde. Ogni tipo di onda elettromagnetica è caratterizzato da un range di lunghezze d’onda, che corrispondono a determinate frequenze. Le lunghezze d’onda molto ampie (a cui corrispondono frequenze molto basse), tipiche delle microonde, si trovano numericamente fra la luce infrarossa e le onde radio; non interferiscono con la composizione delle cellule né mostrano alcuna tossicità nei confronti dei tessuti biologici. Sono infatti di natura completamente diversa dai raggi UV, dai raggi X e soprattutto dai raggi Gamma (emessi dalle reazioni nucleari), la cui lunghezza d’onda cortissima, affine alle molecole ed atomi che formano i tessuti biologici, spiega la loro elevata pericolosità. Le microonde, d’altra parte, non hanno neppure nulla a che vedere con gli ELF (Extremely low-frequency magnetic fields) di cui sono accusati i telefonini.

Le microonde hanno molta più attinenza con le radiazioni termiche emesse da un corpo caldo; però sono selezionate (frequenza 2450 MHz) in modo da riscaldare soprattutto l’acqua contenuta nei cibi e non altro. Come le onde radar (che in effetti sono un tipo di microonde) sono riflesse da metalli e altri materiali particolari: infatti i metalli non vanno utilizzati all’interno del forno, altrimenti le microonde possono rimbalzare all’indietro e danneggiare il magnetron, che le emette.
Le microonde vengono assorbite dai cibi umidi e il calore da loro prodotto si manifesta all’interno di essi. Non vi sono altri effetti dovuti ad accumulo.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ritiene sicuro questo tipo di cottura, se utilizzato nella dovuta maniera. Ecco alcune indicazioni per utilizzarlo in tranquillità: evitare contenitori fatti con i materiali sbagliati (metalli, ceramiche con filo d’oro e plastiche); mettere solo cibi umidi (non secchi, sennò si bruciano!); contare 5 secondi dopo la suoneria prima di aprire lo sportello, per lasciar finire di rimbalzare le onde nel forno; dulcis in fundo, evitare di scottarsi!

[Bibliografia:  WHO, Microwave ovens Information sheet (2005); INFN Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, Lo spettro elettromagnetico (2011); IARC Vol. 80 (2002); FCC Federal Communications Commission]

 

L’ozono troposferico

Courtesy of Pixabay

 

L’ozono è una molecola curiosa: può essere molto dannoso, ma può essere anche molto utile, a seconda di dove si trova. È utilissimo, infatti, nella stratosfera (c.a. fra gli 8 e i 60 Km di altezza, con variazioni che dipendono dalla latitudine) per proteggerci dai dannosissimi raggi UV emessi dal Sole. In passato il famoso “buco dell’ozono” era stato creato dalla diffusione dei CFC (clorofluorocarburi), molecole in grado di danneggiare fortemente lo strato protettivo; il bando di tali sostanze sembra che stia dando i suoi frutti, con la progressiva riduzione di questo “buco”.

L’ozono è invece pericoloso per la salute quando si trova al livello in cui vivono gli animali, i vegetali e l’Uomo, ossia nella troposfera; vediamo perché.

L’ozono è un radicale libero, pertanto ha un’elevatissima reattività ed è un forte ossidante. È simile all’acqua ossigenata, ma è molto più pericoloso, anche perché è un gas; è instabile, in quanto a temperatura ambiente tende a trasformarsi in ossigeno, e può esplodere al minimo innesco.

All’Uomo produce prima di tutto irritazione dell’epitelio polmonare, edema e lesioni varie a seconda della concentrazione, nonché irritazione dell’epidermide nel caso in cui entri in contatto con la pelle.

Fra i dati tossicologici a lungo termine, numerosi sono i dati di mutagenesi a dosi preoccupanti (ossia quelli per cui bastano basse concentrazioni per avere l’effetto tossico), anche su cellule umane; fra i valori più degni di nota, i dati di formazione di micronuclei (indice di mutagenesi “cattiva”, quella che danneggia in modo irreversibile il DNA cellulare) in cellule umane a soli 0,2 ppm per 4 ore di esposizione per via inalatoria (dati 2004-2006).

L’ozono è radiomimetico (ossia produce gli effetti clinici abitualmente associati a una radiazione).
Non è considerato cancerogeno per l’Uomo, mentre lo è per i topi a livello polmonare. Vi sono dati di tossicità per il ciclo riproduttivo per mammiferi.

Gli impianti in cui si produce e utilizza l’ozono a scopo disinfezione (per esempio depuratori e potabilizzatori) devono essere a tenuta stagna, oppure abbondantemente ventilati affinché non si crei ristagno né possibilità che venga respirato in concentrazioni pericolose; le apparecchiature elettriche vanno isolate.

Vi sono situazioni, ormai piuttosto comuni, in cui l’ozono viene prodotto involontariamente dalla reazione chimica fra alcune categorie di inquinanti, in particolare gli ossidi di azoto (NOx) e i composti organici volatili (VOCs) in presenza di luce solare. Tali fumi inquinanti provengono generalmente dalle emissioni industriali, dalle centrali termoelettriche, dai vapori dei carburanti e dai fumi dei motori, dai solventi chimici (utilizzati puri o disciolti nelle vernici, nelle colle e in altri prodotti a base solvente).

Bibliografia: RTECS NIOSH, Toxnet, UsEPA

Un aspetto della divulgazione scientifica

Mi è capitato di confrontare le mie opinioni su argomenti scientifici con quelle di giornalisti che si occupano professionalmente di divulgazione scientifica. Ferma restando l’importanza di aver compiuto degli studi attinenti (è più difficile, infatti, che una persona che ha fatto studi umanistici, come lettere o lingue, capisca bene gli argomenti scientifici e riesca a tradurli adeguatamente per il pubblico), ho rilevato in qualcuno una certa riluttanza a tenere conto di studi scientifici molto aggiornati. Perché?

Pensate a una persona che faccia della divulgazione scientifica il proprio mestiere, basando il proprio reddito, per esempio, sulla redazione di libri con contenuti scientifici divulgativi. Un libro non è facilmente aggiornabile: se vi è esposta una teoria, o una interpretazione di una serie di dati volta a dimostrare una tesi dell’autore, essa non sarà poi soggetta a revisioni in quanto scritta ed esposta in termini “assoluti”. Ciò implica che, se nel giro di pochi anni gli scienziati che fanno ricerca “sul campo” trovano nuovi dati che non suffragano tale teoria, bensì la smentiscono almeno in parte, il divulgatore si sentirà, purtroppo, poco incline a seguire questi nuovi filoni per non smentire quanto aveva scritto nel libro.

Anche a me piace fare divulgazione scientifica, per dovere civico e per spiegare alcune scelte tecniche che opero nel mio lavoro; tuttavia cerco di conservare l’elasticità necessaria ad accogliere i nuovi dati e i nuovi filoni di ricerca portati avanti dagli scienziati. Secondo me non ha senso, infatti, “schierarsi” a favore di una sostanza o di un’altra: se viene dimostrato che una sostanza è più (o lo è meno) tossica di quanto si credeva, a mio parere non è corretto mantenersi per partito preso sulle vecchie posizioni.

Personalmente faccio il possibile per tenermi aggiornata e, lavorativamente parlando, per adattare le mie scelte tecniche agli aggiornamenti in modo razionale.  Credo e spero che questo sia il modo più corretto per lavorare, soprattutto considerando che i prodotti a cui applico questa procedura hanno a che vedere sia con la cura dell’ambiente sia con l’igiene di ambienti e persone.

Gli allergeni presenti sui vestiti

Fra le maggiori cause di allergie associate ai tessuti utilizzati nell’abbigliamento, vi sono i coloranti e la formaldeide. Le reazioni allergiche e di sensibilizzazione sono sempre favorite da fattori di tipo fisico, quali: l’abrasività dei tessuti sulla pelle; il fatto che un indumento sia particolarmente aderente; la scarsa traspirabilità con ristagno del sudore e aumento della capacità di penetrazione dell’allergene nella pelle; il calore. Alcune informazioni pratiche sono presenti anche su http://www.bensos.com/rendere-piu-sicuri-gli-indumenti-appena-acquistati/.

I coloranti vengono scelti a seconda del tipo di tessuto e possono essere di vari tipi: “in dispersione”, azoici, basici, reattivi. I legami che creano con i tessuti dipendono dalla loro natura chimica e possono essere più o meno stabili; più è stabile il legame fra colorante e tessuto, minore sarà il rischio di rilascio della sostanza e di assorbimento da parte della cute.

I coloranti “in dispersione” sono utilizzati soprattutto per tessuti sintetici; si fissano sulle fibre in modo poco tenace e hanno quindi tendenza a migrare. In più, le loro molecole hanno una natura lipofila, quindi tendono a bioaccumularsi nell’organismo. Sono fra i principali coloranti allergizzanti; fra essi, in particolare, il nero, il blu scuro e il verde scuro.

Un altro agente allergizzante, da anni oggetto di indagini da parte della comunità scientifica che ne ha dimostrato l’azione cancerogena, è la formaldeide. Sui tessuti, in genere viene rilasciata da resine che vengono applicate come finitura dopo la tintura, con funzione di fissativi e per migliorare le caratteristiche fisiche delle fibre. Tali resine possono essere di vari tipi, modificati e migliorati nel tempo anche per far sì che cedessero minori quantità di formaldeide. La resina di utilizzo più recente è la dimethylol dihydroxyethyleneurea (DMDHEU); è presente sui tessuti in cotone e misto cotone-poliestere e viene applicata per rendere il tessuto più forte, prevenirne il restringimento e renderlo meno soggetto a stropicciarsi. È meglio della formaldeide ma, oltre a essere un allergene, i suoi metaboliti (ossia le sostanze che si ottengono dopo l’assimilazione da parte del sistema digestivo umano) esercitano un’azione mutagena (Ames test).

Le normative sono sempre più restrittive nei confronti della formaldeide e delle sostanze che possono rilasciarla, infatti nei tessuti realizzati a norma di legge vengono trovate quantità di formaldeide relativamente basse. Tuttavia, si hanno comunque casi di manifestazione allergica alla formaldeide rilasciata da questi tessuti. Si ipotizza che la fase iniziale di sensibilizzazione, che richiede concentrazioni di questa sostanza più elevate rispetto a quelle permesse, sia associata alla precedente esposizione alla formaldeide da altre fonti, per esempio attraverso prodotti cosmetici o detergenti: alcuni conservanti (DMDM-Hydantoin, Diazolidinyl urea e altri) si chiamano infatti “precursori di formaldeide“, in quanto la sprigionano nello svolgere la loro azione di controllo dei microbi. Ulteriori sorgenti di formaldeide possono essere colle e adesivi, vernici e lacche, nonché i mobili realizzati in compensato o truciolare di legno. L’ipotesi è che le persone si sensibilizzino con le alte dosi a cui sono esposte dalle altre fonti; in seguito, per scatenare la risposta immunitaria sono sufficienti le piccole dosi ammesse nei tessuti. Ecco così che l’allergia appare associata alla formaldeide contenuta nei tessuti. Questa ipotesi può servire a capire meglio le cause, purtroppo non risolve comunque il problema: si capisce solo che, in determinate condizioni, anche bassissime dosi di formaldeide sono sufficienti a scatenare reazioni allergiche e di ipersensibilizzazione.

Esistono anche resine fissative per tessuti che non contengono formaldeide, quali la Dimethyl dihydroxyethyleneurea (DMeDHEU) e il Butanetetracarboxylicacid (BTCA). Hanno costi maggiori, quindi l’utilizzo non è ancora molto diffuso; vengono usati per l’abbigliamento per bambini.

Bisogna considerare anche la possibilità che i tessuti non siano a norma di legge. La normativa europea REACH impone che i prodotti (abbigliamento, giocattoli, etc.) importati da Paesi extraeuropei vengano sottoposti ad analisi che escludano la presenza, in concentrazioni non permesse, di numerose sostanze chimiche, in particolare di quelle incluse nella lista delle VHC (Very High Concern substances); tuttavia molti prodotti “saltano” questi controlli. Da parte del produttore non c’è sempre malafede, come si sarebbe portati a pensare: molti piccoli produttori cinesi, per esempio, non sono a conoscenza delle leggi restrittive che impongono i controlli nei Paesi europei. Leggi che, in Cina e in molti Paesi asiatici dove spesso sono collocate le aziende di produzione, non valgono. Sta agli importatori l’obbligo e l’onere di effettuare i controlli e di certificare la sicurezza dei prodotti; purtroppo non sempre questi controlli vengono effettuati.

In Europa le sostanze non permesse, o di cui il limite massimo stabilito è veramente bassissimo, sono parecchie: fra esse, metalli pesanti come il nickel (allergene) e il cromo VI (tossico), coloranti azoici che rilasciano ammine aromatiche, clorofenoli usati come antimuffa, varie molecole usate come ritardanti di fiamma, ftalati e altri plastificanti contenuti negli accessori (bottoni, cerniere, etc.).  Alcune di queste sostanze possono dare allergie e un capo di abbigliamento, se è stato realizzato in uno stabilimento in cui non si tiene conto delle normative europee, potrebbe contenerne.

Fonti:  Toxnet; B Kakande, “Clothing contact dermatitis”, Current Allergy & Clinical Immunology (2015) Vol 28, nr 1; Rietschel RL, Fowler JF. Fishers Contact Dermatitis 4 th edition, Williams and Wilkins 1995; 358-413; Brookstein DS. Factors associated with textile pattern dermatitis caused by contact allergy to dyes, finishes, foams and preservatives. Dermatol Clin 2009;27(3):309-22

Sui grassi alimentari

CornettoPresso la Fondazione Iniziative Zooprofilattiche e Zootecniche di Brescia, recentemente ho potuto assistere a un convegno interessantissimo intitolato “Grassi e salute: un aggiornamento”, i cui relatori erano A. Poli e F. Marangoni (NFI – Nutrition Foundation of Italy), G. Lercker (Università di Bologna), M. Porrini (Università di Milano) e F. Visioli (Università di Padova), unitamente allo chef Vittorio Fusari che ha dato alcuni spunti culinari.

I grassi nell’alimentazione vengono generalmente associati all’aumento del rischio coronarico, sul quale influiscono più degli stessi zuccheri.
Tuttavia, dagli studi più recenti alcuni scienziati ritengono che non tutti i grassi creino davvero un danno coronarico, anzi pare che alcuni siano protettivi. Il colesterolo LDL (quello “cattivo”) sale in particolare con il contributo dei grassi monoinsaturi detti “trans” di origine sintetica.
In passato si tendeva a colpevolizzare tutti i grassi che a temperatura ambiente si presentano solidi, ossia i grassi saturi e i grassi insaturi “trans” di qualsiasi provenienza fossero. Invece, da serie analisi epidemiologiche condotte su migliaia di persone e durate anni, pare che i grassi saturi naturali e i monoinsaturi “trans” contenuti nei latticini NON contribuiscano ad aumentare il rischio coronarico da LDL. La loro struttura chimica li renderebbe a prima vista adatti a creare depositi insolubili nelle arterie, tuttavia essi vengono modificati dall’azione dei batteri presenti nel rumine delle mucche e questo sembra detossificarli. Il burro, per fare un esempio, non sarebbe così dannoso come sembrava, soprattutto consumandone piccole porzioni (in modo che non faccia ingrassare).

In realtà, non tutti gli scienziati sono concordi nel depenalizzare i grassi saturi: analizzando altri dati, pare che dagli anni ’60 ad oggi in U.S.A. sia stata proprio la progressiva riduzione dei grassi saturi (carni rosse grasse, burri) a favore di quelli insaturi (olii di semi, di oliva) a far diminuire del 60% la mortalità cardiovascolare [Fondazione U. Veronesi].

Ciò su cui gli scienziati sono concordi è, invece, il fatto che i monoinsaturi “trans” di origine industriale siano molto dannosi. Fra le caratteristiche negative, riducono l’elasticità delle arterie (espressa dalla funzione endoteliale) ed esercitano un’azione infiammatoria verso i tessuti, predisponendo l’organismo a una serie di malattie, fra cui quelle neurodegenerative; infatti, al crescere della quantità di “trans” industriali ingerita, aumenta il valore ematico della PCR.
Essi sono rappresentati dalle margarine dure, che in Italia erano diffuse molti anni fa e che nel frattempo sono state fortunatamente rimpiazzate quasi dappertutto da non quelle spalmabili, la cui composizione è ben diversa ed è sicura per la salute. Non proprio dappertutto: i “trans” dannosi sono infatti presenti (purtroppo…) in alcuni prodotti da forno e in particolare nei cornetti da bar, quelli serviti al banco senza confezione. Le gradevoli proprietà organolettiche di queste brioches sono infatti migliorate dalla presenza delle margarine dure.
In altre nazioni, quali gli U.S.A. e i Paesi del nord Europa, le margarine dure sono invece molto diffuse e contribuiscono pesantemente agli eventi coronarici (infarti, ictus, etc.) a carico della popolazione.

Una cosa bella che si potrebbe fare è… convincere i nostri pasticceri e baristi a togliere anche dai cornetti del mattino questi grassi poco simpatici, migliorando così la salute dei loro avventori 😉

Un’altra buona idea è… seguire un’alimentazione il più possibile a base di grassi insaturi, con qualche eccezione ogni tanto.
Alla prossima!

Riferimenti bibliografici:
– Zock P et al., Can J Physiol Pharmacol 1997
– Silverman MG et al., J Am Med Assoc 2016
– de Souza RJ et al, Brit Med J 2015
– Zock P et al, Can J Physiol Pharmacol, 1997
– Virtanen JK et al, Arterioscl Thromb Vasc Biol 2014
– Pimpin L et al, PlosOne 2016
– Wang Q et al, J Am Heart Assoc 2016
– fondazioneveronesi.it

Pesce affumicato

Salmone_affumicatoSapevate che… il fumo “liquido” è più salutare del caro, vecchio “genuino” fumo di legna?

Torniamo indietro di qualche passo… Nelle combustioni incomplete di sostanze organiche (ossia sostanze a base di catene di carbonio, fra cui troviamo i tessuti biologici) si creano composti chimici di grande pericolosità, gli IPA (idrocarburi policiclici aromatici). Il più pericoloso di questi composti è denominato benzo-a-pirene, classificato come cancerogeno per l’Uomo (Carc1). È persistente nell’ambiente e bioaccumulabile; è un genotossico (ossia dannoso per geni e DNA) ed è incluso nella lista di 564 sostanze sospettate di essere interferenti endocrini. Insomma, pur se naturale… è del tutto indesiderato nel nostro organismo! Gli altri IPA sono “parenti” chimici del benzo-a-pirene, che con lui hanno in comune la struttura chimica di base (alcuni anelli benzenici collegati insieme… il benzo-a-pirene ne ha 5) e in parte la tossicità. Meglio esporvisi il meno possibile…

Attraverso l’alimentazione, si possono assumere IPA soprattutto con gli alimenti grigliati, il pesce affumicato, cozze vongole e crostacei allevati in acque inquinate, insalate e verdure a foglia larga coltivati in zone con forte inquinamento atmosferico.

Pesci_affumicatiL’affumicatura è uno dei processi che creano IPA. Pesce, carne, formaggio, ma anche cereali e tè (in alcuni Paesi le pratiche di affumicatura vengono applicate anche a questi alimenti), specialmente se trattati a livello domestico, possono contenere livelli veramente alti di queste sostanze indesiderate.

Chi preferisce l’affumicatura diretta, credendola più sana e genuina, si ricreda: è quella che espone alle concentrazioni più elevate di IPA. Le modalità di affumicatura che riducono maggiormente gli IPA sono: il trattamento con il “fumo liquido” e l’affumicatura indiretta.

Il “fumo liquido” è un aromatizzante prodotto dal fumo “naturale”, sottoponendo quest’ultimo a processi di condensazione e purificazione, proprio al fine di rimuovere la maggior parte degli IPA. Mediamente la concentrazione si riduce a un decimo rispetto al fumo diretto.

L’affumicatura indiretta è effettuata a livello industriale in condizioni controllate, con il fumo prodotto esternamente rispetto alla camera di affumicatura. L’abbattimento degli IPA è paragonabile al procedimento precedente.

Fonti: ISS (Istituto Superiore di Sanità), IARC (International Agency for Research on Cancer)

Perchè lo stato infiammatorio non è compatibile con la donazione Avis

Donazione_sangueQuando si dona il sangue oppure un emoderivato (plasma, piastrine) bisogna sempre ricordarsi che potrebbe essere utilizzato, come spesso è, da persone a cui i medici stanno curando un tumore. Spesso si tratta di bambini, per esempio con leucemie. Durante le cure chemioterapiche, questi pazienti hanno le difese immunitarie molto basse, tanto che devono essere particolarmente cauti nella vita di tutti i giorni e non esporsi a virus né infezioni batteriche. Devono adottare misure preventive particolari, perchè per loro le infezioni possono essere molto pericolose.
Quando devono ricevere sangue o emoderivati per via trasfusionale, si aspettano che questo dia loro nuova vita, che sia integro e pulito da ogni agente infettante. Generalmente lo è. Tuttavia, se il donatore, al momento della donazione, presenta infezioni (come l’influenza o il raffreddore) o reazioni allergiche (come quelle ai pollini o alla polvere) e in presenza di sintomi, nel sangue potrebbero essere presenti quantità elevate di anticorpi. Gli anticorpi fanno parte della risposta immunitaria di un organismo sano ad un’infezione o ad un antigene (come nel caso delle allergie); nel malato oncologico, sono dannosi perchè dànno segnali di “allarme” ingiustificato (perchè nel paziente quell’infezione NON C’È, in quel momento) a un sistema immunitario che non può rispondere, in quanto “inattivato”, con conseguenze anche molto gravi.
Fra le cose a cui il donatore deve stare attento c’è l’assunzione di latte o latticini prima della donazione.
Le persone che soffrono di allergia in fase acuta, e quindi con sintomi, e comunque le persone allergiche al lattice o al veleno degli imenotteri (vespe e api), sono purtroppo escluse dalla donazione di sangue, per non rischiare di esporre i pazienti a surplus di anticorpi…
Concludendo, bisogna essere molto responsabili quando si dona il sangue, perchè potrebbe arrivare a pazienti sensibili, che non sono affatto rari!
Ecco perchè capita che il medico dell’AVIS ci rimandi a casa senza aver effettuato la donazione, dopo averci visitato e aver capito che il nostro organismo non è al massimo, oppure che abbiamo fatto qualcosa che pregiudichi la qualità del sangue. Non prendiamocela e, la prossima volta, stiamo un po’ più attenti! 😉

Il boro nei detersivi

BoraceAlcuni detersivi di uso comune per lavatrice e lavastoviglie contengono composti del boro, sali minerali per lungo tempo considerati innocui; negli ultimi anni sono stati oggetto di indagine e questa ha portato a conclusioni inquietanti:  buona parte dei composti del boro abitualmente usati in detergenza sono ora classificati come tossici per la riproduzione. In particolare, l’acido borico, il borace (tetraborato di sodio decaidrato) e il sodio perborato devono riportare in etichetta la classificazione Repr 1B e la frase di rischio “Può nuocere alla fertilità. Può nuocere al feto” [1]. In più, i prodotti che contengono queste sostanze devono riportare l’avvertenza “Non utilizzare per i bambini al di sotto dei 3 anni d’età”.

Sono stati fissati dalla Commissione Europea dei limiti di concentrazione considerati “di sicurezza” che dovrebbero renderne sicuro l’utilizzo. Ulteriori valutazioni e prove sui mammiferi [2] hanno dato risultati preoccupanti: atrofia testicolare e degenerazione dei tubi seminiferi, a concentrazioni di circa 60 mg B/Kg bw/day (cioè relativamente basse, vale a dire che ne basta poco per dare effetti avversi). Il NOAEL (ossia la concentrazione a cui gli effetti avversi non si sono presentati) è stato fissato a 17.5 mg B/kg bw/day, però è anche vero che si tratta di sostanze che rimangono nell’ambiente, in quanto non sono biodegradabili, e possono anche rimanere in piccole quantità sulla biancheria, in quanto i detersivi non vengono mai perfettamente sciacquati dai tessuti (per ragioni elettrostatiche e di porosità degli stessi).

Non ci sono solo questi dati: fra gli altri, ci sono pure le malformazioni ossee e cardiovascolari fetali a concentrazioni ancora più basse di quelle che danno tossicità ai genitori (13.3 mg B/kg bw/day per le ossa), il che abbassa la NOAEL a 9.6 mg B/kg bw/day.

Per chi volesse obiettare che la tossicità sui ratti non è necessariamente rappresentativa della tossicità sull’Uomo, l’SCCS specifica che i dati di tossicocinetica disponibili per questo studio non sono indicativi di particolari differenze fra gli animali da laboratorio e gli esseri umani; non essendoci neppure significative differenze tossicodinamiche, si assume che i dati letti sugli animali siano rilevanti anche per l’Uomo.

Il metaborato di sodio, tuttora utilizzato in comuni detersivi per bucato, costituisce un’eccezione che, a mio avviso, andrebbe però sottoposta ad approfondimenti ulteriori. Si tratta infatti di una molecola “di transizione” fra diversi stati di idratazione della molecola di acido borico. Fra i diversi stati, si possono annoverare 4 molecole, fra cui il metaborato; di esse, tutte sono classificate Repr 1B tranne il metaborato. Secondo il mio parere, andrebbero approfondite le caratteristiche tossicologiche anche di quest’ultima molecola.

Molte fra le sostanze utilizzate in detergenza presentano dati di tossicità per la riproduzione; i composti del boro sono fra le sostanze la cui tossicità riproduttiva è definitivamente confermata, grazie a controlli più specifici svolti dalle autorità preposte. Ciò non significa tuttavia che ne sia prevista l’abolizione, bensì solo un relativo contenimento delle concentrazioni. La scelta di esporvisi il meno possibile viene affidata al singolo utente…

Bibliografia: [1] Reg (CE) N. 1272/2008 (GU L 353 del 31.12.2008); [2] Scientific Committee on Consumer Safety (SCCS), OPINION ON Boron  compounds, SCCS/1249/09 Revision of 28 September 2010; Toxnet Database.

Sull’ammoniaca

NH3Se dovessi parlare in modo approfondito di tutte le caratteristiche dell’ammoniaca… dovrei scrivere pagine su pagine, da quante sono!

Accennerò quindi ad alcune nozioni importanti, soffermandomi poi sugli aspetti legati al suo utilizzo e su alcune avvertenze.

L’ammoniaca è una sostanza alcalina presente in natura, anche negli organismi viventi (fra cui gli esseri umani), in quanto partecipa ad alcune funzioni biologiche. Viene anche creata in grandi quantità mediante metodi sintetici (Haber-Bosch e altri), che permettono di utilizzarla per numerosissime produzioni industriali, prima fra tutte quella dei fertilizzanti agricoli; numerose materie plastiche (come le melammine, il poliuretano…) la contengono, ma anche farmaci, materie prime per l’industria, etc.

Viene usata anche in detergenza come additivo, in quanto esercita un’ottima azione pulente sulle superfici dure. Per questa ragione, molte persone la usano anche “pura” (in soluzione acquosa) direttamente su pavimenti e finestre.

Il fatto che essa sia contenuta nel nostro organismo la rende parzialmente compatibile con esso, ma… solo in piccola parte. Infatti, le concentrazioni di ammoniaca negli organismi viventi sono infinitesimali! Non è affatto una sostanza “blanda”, bensì è corrosiva verso le mucose (occhi, polmoni) e, in più, può modificare geneticamente alcune cellule, come dimostrato da un esperimento relativamente recente (validato nel 2010) su Escherichia coli.

La cosa meno carina è la cancerogenicità verso mammiferi: nonostante lo IARC non riporti studi in merito, l’autorevole database RTECS segnala cancerogenicità al sistema gastrointestinale di mammiferi (via orale, 2009). Toxnet cita due studi giapponesi, secondo i quali l’ammoniaca è in grado di fare da promotore di tumori (ossia di peggiorare l’azione di agenti cancerogeni) nello stomaco di mammiferi.

In attesa di verificare che ci sia o meno una corrispondente tossicità anche nell’Uomo… il consiglio è evitare di esporvisi a dosi elevate. Che cosa significa? Significa evitare di usare spesso l’ammoniaca per lavare superfici estese, attività che purtroppo comporta l’esposizione continuata delle mucose respiratorie, della bocca, della faringe e degli occhi. Negli occhi è in particolare la cornea a subire i danni maggiori.

Capita che alcuni prodotti (detersivi, per esempio), pur non contenendo ammoniaca fra gli ingredienti, rilascino comunque vapori di ammoniaca; sono preoccupanti? Generalmente no: l’odore può essere dovuto a sostanze derivate da amminoacidi (ammino- è riferito proprio alle molecole di ammoniaca “incorporate” chimicamente nelle molecole degli amminoacidi stessi), che a pH alcalino rilasciano alcune molecoline di questa sostanza. Essendo molto volatile e molto odorosa, il nostro sistema olfattivo la sente subito: la soglia di percettibilità è molto bassa, bastano infatti 39 mg/m3, ossia circa 0,04 grammi in 1 metro cubo di aria – pensate a uno spazio grande quanto un cubo di un metro per lato… – perché il nostro naso ne avverta la presenza! A patto che il nostro naso non abbia perso sensibilità a forza di esporsi all’ammoniaca…

Fonti: Toxnet, RTECS, U.S.Agency for Toxic Substances and Disease Registry (ATSDR), NIOSH, APAT IRSA “Metodi di misura delle emissioni olfattive”, European Commission ESIS, IUCLID Dataset.

 

Sugli ftalati

Paperelle_PVCGli ftalati sono sostanze chimiche utilizzate soprattutto per rendere morbide e flessibili le materie plastiche, in particolare il PVC. Sono usati nei cosmetici e nei prodotti per la cura della persona, fra cui profumi, lacche per capelli, saponi, shampoo, smalti per unghie e idratanti per la pelle. Sono contenuti in prodotti di consumo come giocattoli in plastica morbida, tende per doccia, carta da parati, tendine, imballaggi per cibarie (fra cui la parte interna dei tappi in metallo) e pellicole protettive.
Sono usati anche in finiture per legno, vernici, inchiostri, detersivi, adesivi, tubi in plastica per impianti idraulici, tubi e sacche per sangue e altri usi medici, solventi, insetticidi, presidi medici, materiali da costruzione e pavimentazioni in PVC.
Fino al 1999 sono stati usati anche in ciucci, sonaglini e oggetti per la dentizione dei bambini.

Gli ftalati e i loro metaboliti (ossia il risultato della assimilazione e digestione di queste sostanze) sono stati ritrovati nel sangue di molte persone.

Inchiostri_ftalatiIl Di(2-ethylhexyl)phthalate (DEHP) è sotto esame in quanto possibilmente cancerogeno per l’Uomo e possibilmente tossico per il ciclo riproduttivo dei neonati assistiti medicalmente con tubetti che lo contengano. È negativo all’Ames test per numerosi ceppi di Salmonella (mutagenesi); è però cancerogeno per ratti, topi e porcellini d’India, nonché promotore di tumori. È bioaccumulabile (Log Kow = 7,45 > 3), quindi nel tempo ha la tendenza ad accrescere la propria concentrazione nell’organismo, qualora l’organismo vi sia continuamente esposto.

Il Di-n-butyl phthalate (DBP) si è dimostrato particolarmente attivo come tossico per il ciclo riproduttivo degli animali. Anch’esso è bioaccumulabile (Log Kow = 4,9).

Fra gli altri, il Diethyl phthalate è quello che finora ha insospettito meno: non è classificabile come cancerogeno; in più, non ha tendenza alla bioaccumulazione (Log Kow = 2,47 < 3). Viene quindi permesso il suo utilizzo nelle fragranze per cosmetici, detersivi e profumi.

Tuttavia, gli ftalati sono tutti sospettati di svolgere attività di interferenza con il sistema endocrino; pertanto, anche l’uso di sostanze come il diethyl phthalate pone un serio dubbio sulla sicurezza.

[Fonti: U.S. National Library of Medicine; U.S. Agency for Toxic Substances and Disease Registry; IARC].

Sulle diossine e i PCB

Trucioli_legnoIn uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Epidemiologia e Prevenzione (novembre-dicembre 2014) si conferma l’esistenza di diossine, seppur in piccole quantità, nelle ceneri di combustione di scarti di legno e trucioli.

Ciò è risultato dal monitoraggio dell’esposizione degli addetti alla manutenzione di caldaie funzionanti a legno, che risultano esposti anche alle polveri di legno (con le relative problematiche).

L’articolo suggerisce che la potenziale esposizione a ceneri contenenti diossine oltre che a polveri di legno possa esserci anche in altre situazioni analoghe.

Ma le diossine… che cosa sono?

Si tratta di composti chimici aromatici (ossia dotati di anelli benzenici) policlorurati (ossia dotati di atomi di cloro legati alla molecola); sono 210 tipi di molecole e sono suddivisi nelle vere e proprie “diossine” (PCDD, dibenzo-p-diossine) e nei “furani” (PCDF, dibenzo-p-furani).  A questi composti si aggiungono i diossina-simili PCB (policlorobifenili), in numero di 209 tipi di molecole (congeneri). Sono quasi tutte sostanze prodotte dall’Uomo e hanno tutti caratteristiche ecologiche e tossicologiche particolarmente preoccupanti: sono chimicamente molto stabili, quindi difficili da demolire (tempo di dimezzamento: 9-15 anni negli strati superficiali del suolo, 25-100 anni in profondità), non biodegradabili e perciò persistenti nell’ambiente; sono molto tossici per l’Uomo e per gli esseri viventi; sono liposolubili e bioaccumulabili, ossia, una volta entrate nell’organismo, si legano alle molecole di grasso nei cuscinetti adiposi (oltre che nel latte materno), senza essere eliminate attraverso l’urina. Nell’acqua non si sciolgono bene; tuttavia vengono intrappolate alle sostanze minerali porose (adsorbimento), oppure si legano fortemente alle sostanze organiche che vengono trasportate dalla corrente dei corsi d’acqua, quindi alla fine si diffondono ugualmente (APAT 2006).

MuccaEssendo bioaccumulabili, la loro concentrazione aumenta man mano si sale nella catena alimentare: se un’erba contenente poche diossine viene ingerita da una mucca in grande quantità, la concentrazione di diossine nella mucca e nel suo latte sarà molto più elevata rispetto a quella di partenza (biomagnificazione).
Secondo l’EPA statunitense (dati 2004), il 95% delle diossine e dei PCB si assume attraverso cibi contaminati, in particolare carne di manzo, latte e latticini, pesce d’acqua dolce. La riduzione dei grassi animali nella dieta sembra la via più indicata per abbassare l’esposizione a queste sostanze.

Va detto che non tutte le diossine hanno la medesima tossicità: alcune sono molto preoccupanti, altre meno. Le seconde, per esempio, presentano una bassa “biodisponibilità”, ossia una bassa tendenza a passare nella catena alimentare a causa di altri fattori.

Gli effetti biologici principali sull’Uomo sono a carico del sistema immunitario (danneggiamento dei linfociti) e del sistema endocrino (interferenza con l’attività degli ormoni). Sullo sviluppo fetale le diossine sono particolarmente dannose, alterando oltre al sistema immunitario anche il sistema nervoso (con problematiche comportamentali) e la tiroide.
La diossina più spiacevole è la TCDD (2,3,7,8-tetracloro-dibenzo-p-diossina), classificata come cancerogeno per l’Uomo: in particolare sarcomi dei tessuti molli, tumori al polmone, linfomi non-Hodgkin, ma con aumento anche di altre forme di cancro (fonte IARC 2012). I PCB sono attualmente sotto esame per la cancerogenicità, con particolare attenzione per i linfomi non-Hodgkin, melanomi e tumori al seno.

Fuoco_di_legnaLe diossine non sono prodotte intenzionalmente, bensì sono “scarti” di reazioni chimiche come la combustione di plastiche e composti clorurati (fra cui il pesticida e biocida per il legname pentaclorofenolo, le cloroparaffine negli olii esausti, la candeggina e gli altri composti inorganici del cloro) a temperatura troppo bassa. Si possono creare durante i processi di spegnimento e riaccensione degli inceneritori per rifiuti, processi che hanno luogo ogni qualche mese per manutenzione ordinaria; anche gli altiforni delle acciaierie sono sorgenti di queste sostanze.
I PCB invece erano prodotti in passato volutamente, come materiale isolante negli isolatori elettrici e come additivi per utilizzi vari, prima che si scoprisse la loro elevata tossicità. I PCB sono fra i precursori delle diossine, in caso di combustione.

Sul cartongesso di origine cinese

ArchitetturaSpesso designer e architetti personalizzano gli ambienti utilizzando il cartongesso. Questo materiale può essere utilizzato anche a livello di bricolage per migliorare la disposizione degli ambienti di casa. Uno tipo particolare di cartongesso, quello di origine cinese, viene fatto oggetto di approfondimento dai siti istituzionali legati al NIH (il corrispondente americano dell’Istituto Superiore di Sanità) in quanto considerato critico per la popolazione.

A partire dal 2008 infatti ci sono state segnalazioni riguardanti cattivo odore, corrosività e problemi di salute riconducibili a questo materiale. In risposta a queste segnalazioni, sono state svolte valutazioni ambientali e tossicologiche sia sul cartongesso stesso, sia sull’aria in interno e in esterno alle abitazioni rivestite con questo materiale, considerando anche i tassi di corrosività di questo materiale. Sono state così riscontrate concentrazioni elevate di acido solfidrico e ancor più elevate dei solfuri di rame e di argento. Anche lo stronzio è stato trovato in quantità elevata. I cattivi odori sono probabilmente correlati ai solfuri, mentre la corrosione degli intonaci è legata all’acidità (pH troppo basso, che corrode i cementi). [Sci Total Environ. 2012 Jun 1;426:113-9. doi: 10.1016/j.scitotenv.2012.01.067. Epub 2012 Apr 21.]

L’acido solfidrico è un gas molto infiammabile e dalla elevata tossicità acuta, con un meccanismo simile a quello del cianuro. La sua presenza si riconosce dal caratteristico odore di uova marce; a basse concentrazioni inizia ad esercitare un’attività irritante verso le mucose oculari e del tratto respiratorio; peraltro, l’esposizione prolungata a concentrazioni moderate può portare vari disturbi, fra cui asma ed edema polmonare; l’assunzione di alcoolici ne peggiora l’azione. Per quanto riguarda la tossicità a lungo termine, è teratogeno (tossico per il feto) e tossico per il ciclo riproduttivo di mammiferi.

Se dopo l’installazione del cartongesso cominciate a sentire un odore persistente di uova marce… è meglio, ahimè, smontare i pannelli e riportarli al rivenditore.

Sull’Artemisia annua

ArtemisiaMi è stato chiesto un parere sulle notizie che attribuirebbero alla pianta Artemisia annua una grande efficacia come antitumorale. Premetto e ricordo a chi legge che io non sono un medico, bensì un chimico che si è votato alla prevenzione dell’esposizione dei cittadini a sostanze tossiche; posso comunque esprimere il mio parere sulla base delle mie conoscenze e della documentazione a me accessibile.

Innanzitutto va detto che già esistono numerosi chemioterapici di origine naturale, fra cui gli alcaloidi della Vinca (vincristina, vinblastina, vindesina, vinorelbina), l’asparaginasi e altri: tutti farmaci molto attivi, già presenti da molti anni nei protocolli di cure antitumorali. Nell’articolo pubblicato nel 2012 dal Journal of Biomedicine and Biotechnology Volume 2012, Art ID 247597 (visionabile qui), si dice che l’artemisinina (la sostanza attiva principale finora individuata) si è rivelata efficace in varie prove in vitro e che un farmaco con questo principio attivo potrebbe efficacemente abbinarsi ad altri farmaci anticancro. Tutto questo è interessante e promettente. Però si dice anche che esiste la possibilità che si crei resistenza alle cure in taluni tipi di tumore, indotta dall’artemisinina; questo va verificato e analizzato con molta attenzione.

Va ricordato che i tumori sono di svariati tipi e che una cura efficace per un tipo può non esserlo per nulla nei confronti di un altro; anche per questa ragione, il tempo necessario agli scienziati per effettuare studi mirati è talvolta lungo, più di quanto desidereremmo…

È importante che su ogni sostanza vengano effettuate verifiche di tossicità acuta e di tossicità a lungo termine. Per quanto riguarda le tossicità a lungo termine, un esempio può essere costituito da un’altra pianta della stessa famiglia, l’Artemisia alba: quest’ultima è tossica per il ciclo riproduttivo e teratogena per mammiferi a dosi preoccupanti (300 mg/kg bw). Quando anche sull’Artemisia annua saranno stati effettuati test di tossicità a lungo termine (fra cui la mutagenicità e la tossicità per il ciclo riproduttivo), gli scienziati potranno valutare il rapporto rischio/beneficio dei farmaci che eventualmente potranno contenerla.

Gli infusi di Artemisia annua hanno azione antimalarica, attribuita al principio attivo artemisinina. Uno studio pubblicato su Toxnet [ J Ethnopharmacol. 2012, Jun 14; 141(3):854-9]  evidenzia che sia l’infuso di Artemisia annua sia l’infuso di Artemisia afra mostrano una spiccata attività anti-HIV; poiché l’Artemisia afra non contiene artemisinina, si suppone che l’attività anti-HIV sia da attribuirsi ad altri agenti attivi ancora da indagare. Questa scoperta potrebbe avere delle ricadute anche negli studi sulle cure anticancro, aprendo nuovi scenari.

Concludo riassumendo così: nonostante i primi risultati positivi è bene non farsi prendere da facili entusiasmi, ricordando che il passaggio dalla provetta all’uomo è importante e va accompagnato da numerose e lunghe verifiche.

Sostanze tossiche nei materiali a contatto con gli alimenti: capitolo primo

Bottiglia_plasticaQuando acquistiamo un alimento confezionato, il primo pensiero va alla sicurezza sull’igiene, al fatto che ci dà maggiori garanzie di non contaminazione da batteri. Non si pensa che potrebbero essere rilasciate sostanze non gradite al nostro organismo proprio dai materiali di imballaggio.

Ci sono studi recenti che testimoniano proprio questo. L‘Istituto Superiore di Sanità fa sapere che fra le istituzioni europee c’è preoccupazione in merito; alcuni enti ritenuti autorevoli, fra cui il Food Packaging Forum, stanno raccogliendo dati a dimostrazione della necessità di approvare leggi restrittive sulle sostanze da usarsi per la produzione di materiali destinati al contatto con gli alimenti.  A titolo di esempio, citerò qui alcune fra le sostanze che vengono segnalate fra quelle cedute da contenitori in plastica approvati per alimenti: conservanti tossici (formaldeide, acetaldeide); metalli pesanti (fra cui composti organostannici); additivi per la plastica non adatti all’alimentazione (stabilizzanti per raggi UV, ritardanti di fiamma bromurati, plastificanti); sostanze con funzioni varie ormai proibite in altri settori in quanto interferenti endocrini (nonilfenoli, cloruro di vinile, ftalati, bisfenolo A, stirene).
Tutte queste sostanze, alcune dalle tossicità davvero preoccupanti, vengono quotidianamente ingerite da adulti e bambini tramite l’assunzione di bibite, yogurt e latticini, svariati alimenti contenuti in sacchetti, scatole, bottiglie…

Fra le prime nazioni a prendere posizione su questi argomenti vi è la Francia, che sta mettendo al bando il bisfenolo A non solo nei materiali destinati all’uso interno, ma anche per quelli destinati all’esportazione, per senso di responsabilità verso i cittadini non francesi. Un aspetto inquietante riguarda tuttavia l’atteggiamento di talune industrie produttrici di tali materiali, che si oppongono a questo intervento chiedendo misure più blande (con la richiesta di “non spaventare i cittadini”); anzi, nel giugno 2013 Plastics Europe, l’Associazione Europea Produttori Plastica, ha addirittura denunciato la Francia alla Commissione Europea per presunte violazioni dei diritti delle industrie. Fortunatamente per i cittadini, l’ECHA (l’Agenzia Europea per le Sostanze Chimiche) e l’EFSA (l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare) si stanno muovendo per dimostrare che la decisione della Francia è ben motivata e il bando del bisfenolo A avrà un seguito e una diffusione.

Il problema che sorge ora però è: le sostanze che già da tempo vengono utilizzate al posto del bisfenolo A (per esempio nei biberon in plastica) sono davvero sicure? E le altre sostanze di vario genere, quali conseguenze possono avere sulla salute dei consumatori? Gli studi sono in corso e le risposte che iniziano ad esserci non sono sempre confortanti…

Il seguito alla prossima puntata!

Sugli SBO (Soluble Bio-based Organic substances)

Acqua_rubinettoMi è stato chiesto un parere su queste miscele e sul loro utilizzo come tensioattivi per uso industriale e in detergenza. Vi sono alcune pubblicazioni interessanti che parlano delle possibili applicazioni degli SBO, sulla base di test e prove pilota condotti da ricercatori dell’Università di Torino, Catania, Foggia e Sao Paulo (Brasile), nonché del CNR.

Gli SBO provengono da vari rifiuti urbani sottoposti ad alcuni processi chimici: frazioni umide (da raccolta differenziata) “digerite” con fermentazione anaerobica, compost vegetale da residui di giardinaggio, fanghi di depuratore di reflui urbani.

Gli utilizzi proposti vanno da emulsionanti per uso industriale (per es.: tensioattivi per detersivi, emulsioni oleose per lavorazioni metalmeccaniche, disperdenti per colori nell’industria tessile) a fertilizzanti in agricoltura, all’alimentazione alimentare (come additivi).

Trovo interessante e lodevole l’intento di riutilizzare i rifiuti, invece di smaltirli in modo costoso e inquinante. Per quanto riguarda gli utilizzi, sono convinta che alcuni di essi vadano preceduti da indagini di tipo tossicologico, ancora non affrontate negli studi citati: in detergenza, è molto importante verificare se una sostanza possiede tossicità a lungo termine, ossia se è cancerogena, se è dannosa per DNA e cromosomi, oppure se è tossica per il ciclo riproduttivo o se interferisce con il sistema endocrino. Ancora maggiore è l’importanza di tali studi in campo agroalimentare.

Peraltro, l’eterogeneità e la non costanza delle molecole, che compongono gli SBO fanno pensare che anche i risultati delle analisi tossicologiche possano essere non riproducibili.

Se si trattasse solo di bucce di mela e sfalcio di giardini (purché esenti da pesticidi), i dubbi non mi verrebbero. Probabilmente è trascurabile la presenza di sostanze tossiche nei materiali provenienti dalle cucine (anche se residui di carbonizzazione e di olii esausti, additivi vari, acrilammide e altre sostanze andrebbero investigati e misurati, prima di poterli considerare trascurabili), così come la presenza di pesticidi nel verde; ciò che ritengo sia preoccupante è invece l’utilizzo dei fanghi di depurazione. È noto infatti che molte sostanze non biodegradabili, fra le quali alcune tossiche, vengono adsorbite dai fanghi medesimi durante i processi di depurazione. Si parla di xenobiotici organici, che annoverano benzene, toluene, fenolo, varie molecole clorurate, IPA (idrocarburi policiclici aromatici, fra cui il benzo-a-pirene), ftalati, pesticidi (quali aldrin, dieldrin e altri) e le immancabili diossine. Il fatto che tali fanghi non vengano smaltiti (e quindi resi inoffensivi), bensì possano essere riutilizzati per creare fertilizzanti per i campi (cosa che già peraltro avviene) o alimenti per bestiame mi lascia perplessa; idem per i componenti di detersivi.

Riferimenti bibliografici:
– A. K. N. Vargas et al. “Use of Biowaste-Derived Biosurfactants in Production of Emulsions  for Industrial Use” Ind. Eng. Chem. Res., 2014, 53 (20), pp 8621–8629 [DOI: 10.1021/ie4037609]
– O. Sortino et al. “Benefits for agriculture and the environment from urban waste” Science of the Total Environment 487 (2014) 443–451 [DOI: 10.1016/j.scitotenv.2014.04.027]
– “La tossicità dei fanghi di depurazione – Presenza di xenobiotici organici” a cura di Pier Luigi Genevini – Fondazione Lombardia per l’Ambiente, Milano (1996)

Sull’indaco, colorante per i jeans

JeansL’indaco è un colorante con la caratteristica tinta blu, usato da decenni per tingere il cotone per i jeans.
Tempo fa mi è stato chiesto un parere sulla sua sicurezza di utilizzo, parere che solo ora ho deciso di pubblicare.
Con mio stupore, ho trovato molto materiale che porta a dubitare sull’opportunità di utilizzarlo, soprattutto per gli indumenti destinati ai bambini.

L’indaco è un alcaloide e può essere di origine naturale o sintetica. In entrambi i casi il componente principale è la sostanza bioaccumulabile denominata indigotina.
L’una e l’altra forma sono state sottoposte a numerose indagini, che tuttavia non sono state risolutive in quanto, nonostante i dubbi sulla sua sicurezza dovuti all’incompletezza delle stime tossicologiche pur in presenza di dati preoccupanti (si veda il documento del 2004 SCCNFP/0790/04 del Comitato Scientifico Europeo sui Prodotti Cosmetici e Non Food), nessuno ha pensato di introdurre limitazioni.

Alcuni studi non recenti (anni ’90) già lo consideravano mutageno all’Ames test, specialmente se estratto con alcooli. Ci sono studi e valutazioni recenti (2009) che mettono in guardia dall’utilizzare indaco “fatto in casa”.
Fra gli studi di Ames, quelli con i dati più preoccupanti sono quelli fatti utilizzando il metodo dell’attivazione metabolica, ossia l’indaco fatto “metabolizzare” da una miscela di enzimi simili a quelli che utilizza il corpo umano per metabolizzare le sostanze. Il metabolismo trasforma una sostanza in “metaboliti”, ossia in altre sostanze assimilabili; la prova fatta in queste condizioni è quindi molto interessante, perché considera anche la tossicità verso il DNA delle sostanze che si formano nel nostro metabolismo.

Uno studio svedese del 1994, fatto proprio sui jeans e non solo sulle singole molecole, aveva rilevato che l’indaco è molto affine agli stessi recettori delle diossine e, considerando questo aspetto, proponeva alla comunità scientifica di indagare sulla possibilità che possa esserci correlazione con il tumore alla vescica e con i tumori della pelle UV indotti.
In questo studio si evidenzia anche il fatto che il cotone non sbiancato con ipoclorito risulti meno tossico.

La polvere di indaco estratta in acqua e non in alcool etilico o in metanolo parrebbe più  sana. Però uno studio del 2012, che testimonia l’elevata mutagenicità dei componenti dell’indaco (indigotina, etc.) proprio verso i linfociti umani, la mutagenicità parrebbe indipendente dal mezzo di estrazione (acquoso o alcoolico): si parla di molecole pure di indigotina (ossia l’indaco stesso), 6-bromo indigotina, indirubina e 6-bromo indirubina (tutti pigmenti dati da piante facenti parte della famiglia delle indigoidi).

Un recentissimo documento dell’EFSA (Ente Europeo per la Sicurezza Alimentare), datato 25 luglio 2014, valuta l’additivo alimentare Indigo Carmine (E132), un derivato solfonato dell’indaco, considerandolo sicuro alle dosi stabilite. Fra i vari sinonimi con cui viene identificato, vi è il termine “indigotina” già utilizzato per l’altra molecola. L’identificativo chimico, tuttavia, è diverso e chiarisce l’ambiguità.

Sulla triethanolamine

Capelli_al_ventoLa trietanolammina (detta anche triethanolamine, TEA) è un tensioattivo ed emulsionante molto utilizzato non solo in cosmetici e detersivi, ma anche in svariati preparati per uso industriale. È rapidamente biodegradabile, quindi dal punto di vista ecologico, strettamente legato allo smaltimento delle acque che contengano questa sostanza (lo shampoo risciacquato, etc.) non crea problemi.

Le riserve sul suo utilizzo nascono quando si valutano i dati tossicologici. Il NIH americano (l’equivalente del nostro Istituto Superiore di Sanità) lo classifica fra i sensibilizzanti per la pelle e per le mucose del tratto respiratorio (asma). Ciò che più interessa è tuttavia la tendenza mutagena per l’Uomo e la cancerogenicità per alcuni mammiferi: i test in vitro hanno evidenziato la sua capacità di danneggiare il DNA dei linfociti umani già al valore preoccupante di 14,9 mg/L.

La cancerogenicità per i topi (sistema linfatico, fegato) non è una prova che la sostanza sia cancerogena anche per l’Uomo, ma certamente pone dei dubbi sul fatto che lo possa essere. Lo IARC nel 2000 aveva promosso la trietanolammina ritenendola “Carc3 Non classificabile come cancerogeno per l’Uomo” sulla base dell’assenza di prove adeguate di cancerogenicità sia per l’Uomo sia per gli animali. Sono tuttavia del 2004 le analisi che provano la cancerogenesi nel fegato dei topi, quindi a mio parere gli approfondimenti su questa sostanza sono solo all’inizio.

Sul Cyclotetrasiloxane

Capelli_lisciQuesta sostanza (detta anche Ciclotetrasilossano, D4, Octamethylcyclotetrasiloxane o, più genericamente, Cyclomethicone) è un silicone e viene utilizzata in cosmetica come “agente emolliente, antistatico, condizionatore cutaneo e dei capelli e come solvente per le sue proprietà volatili, la sua idrofobicità e per la sua bassa tensione superficiale” (dal sito www.farmacovigilanza.org/cosmetovigilanza/). Viene usata anche nell’industria chimica per vari utilizzi, tanto da essere una sostanza ad alto volume di produzione HPV (High Volume Production), essendo prodotta in quantità che vanno da 100.000 a 500.000 tonnellate/anno.

Come tutti i Dimethyl siloxanes (categoria di siliconi), è resistente alla biodegradazione. Fortunatamente è molto volatile e fotodegradabile, con tempi di dimezzamento alla luce solare piuttosto brevi (5,2 giorni). La tossicità per gli organismi acquatici è generalmente bassa. [Fonti: Toxnet; Ministero Ambiente). Però è mia opinione che i siliconi (pure quelli volatili), quando entrano in falda acquifera, oltre a non subìre alcuna fotodegradazione causa la mancata esposizione al sole, sono critici in quanto possono rendere impermeabili le membrane naturali che abitualmente lasciano passare l’acqua (semipermeabili), come le zone sabbiose di filtrazione dell’acqua di fonte, oppure le membrane presenti nelle radici delle piante.

Criticità tossicologiche

Si tratta di una sostanza classificata ed etichettata come Tossico per la riproduzione Cat. 2, con l’indicazione di pericolo “Sospettato di nuocere alla fertilità o al feto”ai sensi del Regolamento CLP nr 1272/2008/CE sulla classificazione, etichettatura e imballaggio delle sostanze e delle miscele (Regolamento emesso dalla Commissione Europea). Nonostante ciò, il Comitato Scientifico per la Sicurezza dei Consumatori (SCCS), organo della stessa Commissione Europea, permette che venga utilizzato nei prodotti cosmetici. Il documento del dicembre 2005 (scarica qui) riporta, a pagina 38, la seguente contraddittoria affermazione, molto indicativa:

“Conclusions on Reproductive Toxicity -There is no evidence that D4 causes developmental toxicity in rats or rabbits or an adverse effect on male rat fertility. However, effects on female rat fertility were identified.”

E infatti i dati ci sono…

Tuttavia, la valutazione finale ha permesso alla sostanza di essere comunque utilizzata come ingrediente, in quanto il Reg nr 1223/2009/CE sui prodotti cosmetici (Regolamento emesso dalla Commissione Europea) non ne limita l’utilizzo. Questa sostanza è anche sospettata di essere un interferente endocrino (DHI, Danish Hydraulic Institute).

L’agenzia francese del farmaco (http://ansm.sante.fr) ha proposto di effettuare prove di cancerogenicità su questa sostanza. Vedremo come andrà a finire…

Le analisi da privati sul cromo esavalente a Brescia

Rubinetto_scuroMi hanno chiesto di commentare i livelli alti di cromo esavalente nelle analisi fatte fare da privati.

Durante la conferenza di Brescia (marzo 2014), il funzionario dell’ASL presente e il presidente dell’ordine dei farmacisti hanno ribadito che le analisi, affinché siano confrontabili, devono essere effettuate sempre dallo stesso laboratorio. Questo è vero fino a un certo punto: Altroconsumo, infatti, consiglia di effettuare anche campionamenti domestici e di far analizzare i campioni da un laboratorio affidabile e imparziale.

Il laboratorio convenzionato con Altroconsumo è certificato Accredia (Ente Italiano di Accreditamento), che è l’unico organismo nazionale autorizzato dallo Stato a svolgere attività di accreditamento: valuta la competenza degli operatori dei laboratori di analisi, verificando che le analisi stesse siano attendibili e applichino le metodiche standard. La procedura di accreditamento ha lo scopo di rendere confrontabili le analisi svolte da un qualsiasi laboratorio accreditato rispetto a tutti gli altri accreditati.

Anche un laboratorio di Verona che aveva trovato 66 ug/L in un’acqua di Bovezzo è certificato con Accredia.

Quello che si potrebbe mettere in discussione è la procedura di campionamento, che dovrebbe essere anch’essa standard. Però è anche vero che non si tratta di una sostanza particolarmente delicato (come per esempio l’ossigeno disciolto), per cui se si campiona male si perde tutto il valore del campione… e c’è solo una metodica analitica soggetta a interferenze importanti, fra le varie utilizzabili, ma a mio avviso interessa campioni di acque contenenti altri metalli pesanti (mercurio, molibdeno, vanadio, ferro trivalente) in concentrazioni piuttosto importanti, non certo acque potabili. Ecco, se si trattasse di acque ferrugginose perché tratte da vecchi rubinetti in ferro che “cedono” materiale, allora si potrebbero avere valori falsamente elevati, ma solo con il metodo citato (quello alla difenilcarbazide). È altresì vero che con questo metodo si possono avere valori falsamente bassi per la presenza di cloro libero, spesso presente nelle acque potabili…

 

Nuova conferenza a Brescia sul cromo esavalente

Acqua_puraMartedì 25 ho partecipato in qualità di relatrice a un’altra conferenza sulla qualità dell’acqua di acquedotto, stavolta inerente l’acqua di Brescia e indetta dall’associazione X Brescia Civica.

Gli altri relatori erano:  il prof. Marino Ruzzenenti (storico dell’ambiente), il sig. Mario Tomasoni (Responsabile operativo A2A Ciclo Idrico S.p.A.) e il dr. Fabrizio Speziani (Direttore del Dipartimento di Prevenzione Medico dell’ASL di Brescia).

Né i rappresentanti delle istituzioni, Speziani e Tomasoni, né noi freelance, Ruzzenenti e io, abbiamo messo in discussione il punto di partenza: la potabilità dell’acqua è da tutti confermata, in quanto i limiti di legge sono rispettati. Ciò che però è stato ammesso è che la contaminazione da Cromo esavalente esiste e pone alcuni interrogativi, a cui nella serata si è cercato di rispondere.

Il prof. Ruzzenenti ha effettuato un excursus sui vari tipi d’inquinamento nell’area della città di Brescia (con riferimento al SIN Caffaro) e ha evidenziato fra l’altro l’assenza di depuratori in Val Trompia. Anche a detta di Tomasoni, durante l’inverno le forti piogge hanno permesso alle falde di accrescersi, diminuendo la concentrazione dell’inquinante; in più, la fonte di Mompiano (non contaminata) ha triplicato la propria portata, aumentando così la propria incidenza di acqua pulita nella totalità delle erogazioni dell’acquedotto. In questo modo i valori del Cr VI si sono assestati su valori bassi (<5, 5-10 ug/L). Un suggerimento per la popolazione è abituarsi a risparmiare acqua potabile, utilizzando acqua piovana per gli usi comuni (lavare la macchina, irrigare il giardino), in modo da abbassare le portate e permettere all’acquedotto di rifornirsi il più possibile dalla fonte invece che dai pozzi, anche nei periodi meno piovosi. È una questione di portate: se c’è molta richiesta di acqua, il gestore dell’acquedotto è costretto a integrare la fonte attingendo ai pozzi, che però sono in parte contaminati.

In particolare, io ho parlato delle seguenti tematiche, trattate in modo più approfondito nelle slides (scaricabili qui):

Che cos’è il cromo esavalente e le ragioni per cui tecnicamente è presente nelle falde di Brescia

ho fatto una breve descrizione di questi aspetti, distinguendo il Cr VI dal Cr III (cromo trivalente) e dal Cr metallico.

Le criticità tossicologiche del Cr VI, da quelle già riconosciute e codificate a quelle in corso d’indagine da parte delle istituzioni

mi sono addentrata nel suo comportamento chimico e nelle ragioni per cui è così aggressivo e pericoloso per la salute, chiarendo che, comunque, la sua assimilabilità da parte del corpo umano è relativamente bassa (pari o inferiore al 10% di quanto ingerito) in quanto il nostro sistema digestivo è in grado di detossificarla in buona parte. Ho spiegato che, pur ipotizzando (la cosa è in corso di approfondimento da parte dell’UsEPA, potrebbero volerci ancora anni prima di conoscere i risultati) che non sia cancerogeno per via orale per l’Uomo, questa sostanza è comunque sicuramente mutagena per l’Uomo (ossia tossica per il patrimonio genetico della specie umana) e tossica per il ciclo riproduttivo di mammiferi, quindi non è consigliabile esporvisi più di tanto.

Un consiglio di massima è: per valori di Cr VI simili a quelli attuali, l’acqua si può considerare bevibile e utilizzabile per la cucina. Per valori superiori (15-20 ug/L e superiori), è meglio tutelare in particolare i bambini e fornire loro acqua in bottiglia di vetro, esente da Cr VI. In questo senso è meglio tenere monitorati i dati pubblicati periodicamente dall’ASL, che è in prima linea nel seguire questo problema.

Gli aspetti geologici che caratterizzano i sommovimenti delle falde stesse

Ho accennato agli scambi che, con tempistiche imprevedibili, le falde possono attuare fra loro e alla possibilità di aumenti imprevisti delle concentrazioni di inquinanti dovute agli sversamenti da vecchie falde inquinate, che prima dello scambio non erano comunicanti. A parte gli sversamenti attuali (anche involontari, come le perdite da serbatoi industriali) di cromo esavalente, può esserci quindi in qualsiasi momento, in teoria, uno sversamento di inquinanti da falde “inattive” a falde a cui si attinge acqua tramite pozzi. In attesa di bonifiche delle falde, è quindi opportuno tenere monitorati i dati dell’ASL.

Su richiesta del pubblico, ho anche spiegato perché le bottiglie in plastica non sono consigliabili (si veda la problematica del Bisfenolo A trattata in questo blog nell’articolo http://www.detersivi-ecologici.net/sul-bisfenolo-a/ ) e perché non lo sono neppure, in buona parte, gli apparecchi di filtrazione domestici, che alcune ditte propongono di installare al rubinetto di casa (http://www.detersivi-ecologici.net/la-persona/lacqua-del-rubinetto-e-sicura-e-gli-apparecchi-di-filtrazione-domestici/). Come ha detto il dr. Speziani, le problematiche microbiologiche associabili a questi apparecchi, se non correttamente manutenuti, possono addirittura sfociare in infezioni da Legionella, batterio mortale.

Differenze fra un detersivo ecologico liquido e uno in polvere

Bucato2Mi è stato posto il seguente quesito: “con il Lavabiancheria ecologico liquido Bensos, lavando sempre a bassa temperatura, si forma nel cestello un deposito marroncino di limo; nell’utilizzare il prodotto in polvere eco della Coop, il fenomeno è cessato. Come mai? È possibile risolvere il problema?”

Allora mi sono incuriosita e ho deciso di confrontare le due composizioni; nei due elenchi che seguono, ho scritto vicino anche l’eventuale indicazione di non ecologicità e di tossicità a lungo termine in base ai miei studi.
Dal sito Coop (http://www.e-coop.it/web/guest/detergenti-tessuti) ecco gli ingredienti del COOP Detersivo lavatrice polvere Vivi Verde Ecolabel, prodotto da Italsilva (dosaggio medio: 75 g/dose):

Sodium sulfate
Sodium carbonate
Zeolite: presenta dati di tossicità a lungo termine.
Sodium percarbonate
Sodium linear alkylbenzene sulfonate (LAS): altamente mutageno (tossico per il patrimonio genetico); altamente teratogeno (tossico per il feto di mammiferi); bioaccumulabile.
Alcohol ethoxylate
Sodium silicate
Aqua
Sodium stearate
Taed
Acrylic Maleic Copolymer: non biodegradabile.
EDTMP + DTPMP (fosfonati): non biodegradabili; tossici per il ciclo riproduttivo di mammiferi; teratogeni (tossici per il feto di mammiferi).
Sodium Toluene Sulfonate
CMA calcium magnesium acetate
Perfume
Silicone antifoam: non biodegradabile
Protease: allergene, sospetto teratogeno (tossico per il feto di mammiferi)
Alpha Amylase: allergene
Cellulase: allergene

Il Lavabiancheria Bensos, liquido con dosaggio medio 80 ml/dose, ha invece la seguente composizione (vedi sito: http://www.bensos.com/detersivo-per-lavatrice-e-bucato-a-mano/):

Aqua
Sodium citrate
Sodium gluconate
Ethoxylated fatty acid
Alkylglucoside
Tetrasodium Glutamate Diacetate
Sodium lactate
Phenoxyethanol
Citric acid

I dati in base ai quali ho espresso le stime di mutagenicità e di cancerogenicità sono presi da database internazionali validati (RTECS, IUCLID, Toxnet).

Qualcuno può chiedersi: ti hanno chiesto un parere sulla performance e tu la prima cosa che fai è andare a vedere l’ecologicità e la tossicità…?!
La risposta è: sì, dal momento che il problema di performance si è manifestato in una condizione “limite”, ossia lavando sempre a bassa temperatura. La performance, peraltro manifestatasi negli aspetti di gestione della macchina e non propriamente nel lavaggio di tessuti, è per il prodotto Bensos inficiata dalla composizione stessa: il prodotto non contiene agenti igienizzanti, mentre il prodotto Coop essendo in polvere sì (sodium percarbonate + TAED). In effetti, Bensos suggerisce di abbinare sodio percarbonato puro (l’Additivo smacchiante, per l’appunto in polvere) alla maggior parte dei lavaggi; inoltre consiglia una manutenzione periodica della macchina, lavandola ogni qualche mese con sodio percarbonato in acqua calda, oppure con aceto o con il prodotto Disincrostante a base di acido citrico e acido lattico.

È chiaro che un prodotto più “comodo”, come può essere il Coop, facilita il compito della massaia, evitandole l’operazione di manutenzione periodica.
È però anche vero che una persona consapevole può scegliere: un piccolo impegno aggiuntivo, rappresentato dalla manutenzione periodica, abbinato al prodotto caratterizzato dalla maggior sicurezza tossicologica e maggiore ecologicità. Oppure maggior comodità abbinata a sostanze tossiche e materiali non biodegradabili.

È possibile che Bensos, che al momento sta studiando l’installazione di nuovi macchinari per la produzione, metta a punto un prodotto in polvere per venire incontro alle esigenze di tutti i clienti. In attesa di questo, ognuno può operare la propria scelta in piena libertà, valutando le composizioni.

Attenzione a costumi e trucchi di Carnevale con sostanze tossiche!

MascherineRiporto qui il decalogo del Ministero della Salute che invita gli adulti, in particolare i genitori, a fare attenzione alle insidie che possono nascondersi dietro le maschere, i costumi e i gadget venduti in occasione del Carnevale:

  1. Non spruzzare schiume e stelle filanti spray negli occhi. Non sono giocattoli e si rischiano gravi danni alla cornea. Attento anche a non spruzzarle addosso alle persone o sui vestiti: potrebbero comunque raggiungere la pelle e il viso
  2. Non usare schiume e spray in vicinanza di fiamme, anche piccole come le candeline per le torte. Molti di questi articoli sono infiammabili ma spesso l’etichetta non riporta correttamente l’indicazione di infiammabilità
  3. Controlla le maschere decorate con glitter e brillantini colorati. I brillantini possono staccarsi e penetrare facilmente negli occhi, nel naso e nella bocca
  4. Attento alle piccole parti dei costumi, come i bottoni, facilmente staccabili (se ingoiati possono provocare soffocamento, soprattutto nei bambini più piccoli) o i laccetti presenti nella zona del collo (se afferrati e stretti inavvertitamente possono provocare strangolamento)
  5. Annusa il tessuto del costume e i materiali dei gadget. Se danno cattivo odore, non farli indossare al tuo bambino: potrebbero contenere formammide, una sostanza tossica se inalata o ingerita dal bambino; attenti inoltre alla presenza di alti livelli di ftalati, usati per rendere mordido il prodotto, anch’essi tossici se masticati o succhiati
  6. Quando acquisti un costume leggi bene l’etichetta e fai attenzione che sia classificato come giocattolo (marchio CE). Solo così avrai la garanzia di “non infiammabilità”. Il pericolo maggiore dei vestiti è legato proprio a tessuti e materiali che prendono fuoco facilmente
  7. Scegli con attenzione gadget e accessori delle maschere (spade, lance, cappelli, caschi, occhiali, fasce). Possono presentare parti metalliche taglienti
  8. Trucca il tuo bambino con cosmetici sicuri e non scaduti. Preferisci prodotti ipoallergenici, adatti all’età. Controlla sempre l’etichetta (data di scadenza o “PAO”, periodo di tempo in cui il prodotto può essere utilizzato una volta aperto); i trucchi a basso prezzo e non acquistati nei canali di vendita autorizzati danno minori garanzie di sicurezza
  9. Prima di truccare il tuo bambino, testa il prodotto su un lembo della sua pelle (generalmente dietro l’orecchio) per saggiare un’eventuale sensibilità. Per rimuovere tutto, meglio utilizzare uno struccante delicato e, subito dopo, sciacquare il viso del bambino con abbondante acqua
  10. Evita di applicare il trucco sulla pelle non pulita bene e sulle parti delicate del bambino (occhi e bocca) per evitare che venga ingerito inavvertitamente o irritare la congiuntiva e le mucose.

Altre informazioni più approfondite alla pagina del sito del Ministero.

Bioremediation: che cos’è?

pianticella_ridMi sono iscritta a un bel convegno/corso di aggiornamento organizzato da alcuni fra i miei professori presso la Facoltà di Ingegneria dell’Università di Brescia, il SiCon 2014 “SITI CONTAMINATI. Esperienze negli interventi di risanamento”. Due giorni e mezzo di trattazioni sulla normativa che riguarda le bonifiche e soprattutto sulle tecniche più innovative ed efficaci per l’abbattimento degli inquinanti nelle falde acquifere e nei sedimenti.

La bioremediation è un approccio particolarmente interessante per eliminare inquinanti da una falda o da un terreno, in quanto utilizza organismi (batteri o piante a seconda dei casi) in grado di adattare il proprio metabolismo e contribuire alla biodegradazione, alla trasformazione chimica o all’intrappolamento degli inquinanti.

Generalmente viene applicata dopo aver asportato o trattato in situ la maggior parte di inquinante mediante tecniche fisiche o chimiche; quando le concentrazioni restano tossiche per l’uomo, ma sono sufficientemente basse da essere compatibili con la vita di microorganismi o di vegetali, allora si può applicare una tecnica di biorisanamento.

Falde inquinate da composti aromatici cancerogeni quali benzene e toluene (BTEX) possono essere insufflate con bollicine di ossigeno, per creare un ambiente favorevole ai batteri biodegradatori: i batteri buoni vengono invogliati, talvolta aggiungendo microelementi e nutrienti vari, a mangiarsi questi composti altrimenti piuttosto indigesti, con la trasformazione finale (mineralizzazione) degli inquinanti a anidride carbonica e acqua [Esperienza di Ambienthesis spa].

Fanghi di dragaggio, contaminati soprattutto da idrocarburi a catena lunga (nafte), possono essere trattati con biopile dinamiche, in cui i fanghi e terreni vengono setacciati, poi conservati in luoghi coperti nei quali vengono periodicamente aerati e umidificati, allo scopo di favorire l’insediarsi dei batteri “buoni” che biodegradano le sostanze. Non solo: questi batteri, al pari di quelli che “lavorano” nei depuratori, sono in grado di competere con i batteri patogeni eventualmente presenti (Escherichia coli, Clostridium perfringens) e di sconfiggerli! [Esperienza di Sistemi Ambientali srl]

Falde inquinate da cromo esavalente (Cr VI) possono essere addizionate di batteri il cui metabolismo viene stimolato a trasformare il tossico cromo esavalente nel non tossico cromo trivalente (Cr III), mediante una reazione di riduzione simile a quella effettuata con reagenti chimici. [Esperienza di Biosearch Ambiente srl].
Sono in corso studi sulla possibilità di applicare tale metodica all’abbattimento dei PCB (policlorobifenili), ma ci sono difficoltà tecniche che vanno superate tramite studi ulteriori. Lavori in corso…

Presso il SIN (Sito di Interesse Nazionale) Brescia-Caffaro, interessata da inquinamento di PCB, solventi clorurati, tetracloruro di carbonio e metalli pesanti, l’ERSAF Lombardia (Ente Regionale per i Servizi all’Agricoltura e alle Foreste) sta iniziando la sperimentazione di coltivazioni e piantumazioni nella zona agricola del sito con varie finalità (riduzione delle polveri volatili e del dilavamento, concentrazione degli inquinanti nelle erbe sfalciabili) volte a ridurre l’esposizione della popolazione e dell’ambiente agli inquinanti.

Le Università di Brescia, Roma (Sapienza) e Catania sono in prima linea nella lotta agli inquinanti e nel cercare sempre nuove tecniche; non solo, anche molti enti (ISS, CNR e altri) e aziende fanno ricerca e fanno vera innovazione. Questo è positivo e confortante…

 

Sul “Finish Quantum con Power Gel”

finish_quantum_tabsUn prodotto non ecologico molto pubblicizzato in questi giorni è il “Finish Quantum con Power Gel” di Reckitt Benckiser. Come succede per tutti i detersivi per lavastoviglie, la valutazione di efficacia è molto soggettiva in quanto ogni macchina ha il proprio modo di lavare, così come ogni utente ha il proprio peculiare modo di utilizzarla (per esempio c’è chi pulisce accuratamente le stoviglie prima di metterle nella macchina; altre persone hanno poco tempo e non tolgono neppure lo sporco grossolano). Anche questo prodotto non fa eccezione: da taluni è valutato efficace, da altri meno.

Mi sono incuriosita verso il prodotto a causa degli accattivanti spot pubblicitari, che mi hanno fatto riflettere su vari aspetti: si punta sulla simpatia dell’attore (Abatantuono), sulla freschezza della scena, sul sorriso della signora, sugli spruzzi d’acqua cristallina, etc. Ovviamente nessun riferimento all’ecologia o alla bassa tossicità, argomenti non toccati.

Allora sono andata a vedere gli ingredienti:

AQUA, SORBITOL, PENTASODIUM PHOSPHATE, PENTAPOTASSIUM TRIPHOSPHATE, POLYCARBOXYLATE, POLYACRYLIC ACID, POLYVINYLALCOHOL, SODIUM SULFATE, SODIUM CARBONATE, Fatty Alcohol Alkoxylate, Fatty Alcohol Alkoxylate, PARFUM, ZINC SULFATE, PROTEASE, SUCROSE, ORYZA SATIVA STARCH, TETRASODIUM ETIDRONATE, Acrylic based polymer, SODIUM HYDROXIDE, SODIUM SILICOALUMINATE, SODIUM POLYACRYLATE, DODECYLBENZENE SULFONIC ACID, DIMETHICONE, LIMONENE, CITRAL, LINALOOL, AMYLASE, TITANIUM DIOXIDE, Colorant, BENZISOTHIAZOLINONE.

Si va dalle sostanze lentamente o non biodegradabili (policarbossilati, acido poliacrilico, alcool polivinilico [usato per fare le capsule], sodio etidronato [un fosfonato], polimero a base acrilica, sodio poliacrilato, dimeticone [un tipo di silicone], benzisotiazolinone [un conservante]), a sostanze altamente tossiche per gli organismi acquatici (i fosfati), a sostanze dotate di spiccata tossicità genetica (acido dodecilbenzen solfonico, la sospetta proteasi) e tossicità per il ciclo riproduttivo (acido dodecilbenzen solfonico, fosfonati), a forti allergeni (proteasi, limonene, citrale, linalool, amilasi), a sostanze sospettate di essere interferenti endocrini (linalool). Si veda la tabella con la Stima Sostanze alla voce La Detergenza; si vedano anche i vari argomenti sviluppati alla voce Salute.

Un’altra curiosità: sul sito Reckitt Benckiser ho contato 56 diversi detersivi per lavastoviglie a marchio Finish, molti dei quali non più in produzione. Come per tutte le aziende grandi e piccole, la loro Ricerca & Sviluppo certamente è continuamente in cerca della formulazione ideale, che però sembra difficile da trovare… Basta vedere la frequenza con cui si susseguono gli spot televisivi con i nuovi prodotti!

Materassi in lattice e allergie

materasso_latticeMi è stato chiesto un parere sui materassi in lattice e sulla possibilità che possano creare problemi di allergia.

Ciò che posso desumere dalle fonti che ho selezionato come attendibili (quasi tutte su Pubmed) è:

il lattice È allergizzante, riconosciuto tale ormai da alcuni anni;
– contiene 13 allergeni;
– gli effetti dipendono sia dalle proteine contenute nel lattice, sia da sostanze aggiunte durante la lavorazione;
– nel caso dei guanti, la polvere amidacea di cui sono rivestiti internamente fa da carrier per tali proteine, aumentando l’esposizione delle vie respiratorie e delle mucose alle proteine responsabili dell’allergia;
– i soggetti predisposti presentano generalmente i seguenti fattori di rischio:
    * una storia clinica di dermatite atopica e asma;
    * vari interventi chirurgici (con esposizione a oggetti medicali contenenti lattice, fra cui i guanti di medici e infermieri che hanno assistito agli interventi);
    * una preesistente dermatite alle mani (parlando di allergia ai guanti in lattice);
    * sintomi correlati al lavoro;
    * test dermatologici positivi inerenti comuni allergeni per via inalatoria e alimentare (in particolare banana, kiwi, avocado).
– i malati di spina bifida spesso sono allergici al lattice;
gli anticorpi rilevabili nelle persone che hanno maturato l’allergia al lattice permangono nell’organismo per tempi superiori ai 5 anni dopo l’ultima esposizione al lattice; è quindi consigliato evitare perpetuamente ulteriori esposizioni.
– un articolo del 1999 riporta test specifici sui materassi in lattice e ne sconsiglia l’utilizzo da parte dei soggetti allergici;
– uno studio italiano del 2006 riporta la percentuale media di lattice dei materassi (74%) e conclude che i materassi e vari altri articoli contenenti lattice dovrebbero essere sistematicamente etichettati con l’avvertenza “questo articolo potrebbe causare reazioni allergiche nei soggetti sensibilizzati”;

– dal 1998 l’FDA ha tolto la possibilità di scrivere “ipoallergenico” sugli articoli che contengono lattice, viste le numerose segnalazioni ricevute.

Queste osservazioni sono utili specialmente nei soggetti a rischio; la maggior parte dei cittadini non avrà mai problemi di questa natura. È però prudente, secondo me, non esporre in modo continuativo i bambini (il cui sistema immunitario è immaturo) e i soggetti defedati a questo materiale.

Sulle nanoparticelle

seven_dwarfsL’universita’ di California – Los Angeles pubblica la spiegazione divulgativa di uno studio sulle nanoparticelle di biossido di titanio. La si puo’ trovare tradotta sul blog scientifico Scienza “commestibile”.

Esistono anche altri studi validati interessanti: per esempio, ricercatori dell’Universita’ di Seoul hanno pubblicato su Pubmed nel 2008 dati sulla genotossicita’ di tali particelle sui linfociti.

Linfociti trattati con nanoparticelle di TiO2 hanno mostrato un significativo aumento della formazione di micronuclei (che esprimono una genotossicita’ allo stadio avanzato, non contrastata dalle difese dell’organismo) e rottura del DNA, con anche formazione di sostanze ossidanti (ROS), responsabili di danni ossidativi alle cellule stesse.

Lo studio californiano evidenzia come la tossicita’ sia dovuta probabilmente a un’azione di tipo chimico-fisico, non riconducibile alla natura chimica delle particelle (il biossido di titanio e’ un inerte), bensi’ alle dimensioni delle stesse, qualunque sia la sostanza che le compone.

Lo stesso studio spiega che le nanoparticelle “non passano attraverso la pelle”. Su questo mi permetto di esprimere dei dubbi: la pelle e’ costituita di cellule tanto quanto le parti interne del corpo, quindi riteniamo che possa essere anch’essa permeabile. La misura della permeabilita’ sara’ probabilmente inferiore a quella presentata dalle mucose del tratto respiratorio e digerente; tuttavia non sara’ nulla.

Usare Linux al posto di Windows® in azienda (e fuori)…

TuxOrmai da  molti anni (più o meno dal 1998) sono utente Linux.

Sono partita con Mandrake, per poi passare a Ubuntu nelle sue varie versioni (Gnome, KDE, Xubuntu) e nei suoi vari aggiornamenti, sia a casa sia in azienda. Ho acquistato una licenza Windows® XP solo per un pc aziendale, specificamente dedicato a una stampante industriale.

Un utente linux, generalmente, non è un utente “normale”: deve diventare – volente o nolente! – anche un po’ programmatore, tramite la consultazione dei numerosi forum e tutorial presenti sul web. Si perde un po’ di tempo, è vero, ma può essere anche divertente e certamente è istruttivo: si è costretti a ragionare! Molto più che con le parole crociate…

Sono certa di parlare a nome di molti “compagni di avventura” linux-users, dicendo che a volte è anche spossante, faticoso: capita di non riuscire a risolvere alcune problematiche, specialmente riguardanti l’hardware!

Nonostante questi “incidenti di percorso”, ecco le ragioni che mi portano sempre e comunque a scegliere linux:

  • è facile da usare

(a parte l’installazione di alcuni hardware)

  • il sistema operativo e i softwares, che sono tanti e ben fatti, sono per la maggior parte gratuiti (free)

oltre a essere teoricamente modificabili senza dover chiedere il permesso a nessuno (open-source)

  • non servono antivirus

perché, fra le varie ragioni, linux è relativamente poco diffuso e i creatori di virus e troyan non lo trovano interessante per i loro scopi

  • gli utenti-linux che mantengono vivi i forum sono generalmente pazienti e generosi:

quando non si riesce proprio a risolvere un problema da soli, si può chiedere e ricevere consiglio (sono riuscita perfino a darne io stessa!), sentendosi davvero parte di una comunità.

Ho parlato del cromo esavalente…

Conferenza a Concesio

Conferenza_CrVILa sera del 6 dicembre 2013 ho partecipato come relatrice a una conferenza organizzata dal gruppo Amici di Beppe Grillo di Gardone Val Trompia, in merito alle acque potabili contenenti Cromo esavalente a Brescia e paesi limitrofi. Un membro del Gruppo mi aveva ascoltato durante una conferenza in cui spiegavo i criteri che uso nel mio lavoro e approfondivo alcuni temi di tossicologia; il mio approccio agli argomenti è stato ritenuto idoneo e mi è stato chiesto se potevo dare un contributo alla divulgazione delle problematiche inerenti il cromo VI. Ho accettato e così… eccomi qua!

Ecco a vostra disposizione la presentazione che ha accompagnato la spiegazione: scarica qui (.pdf, 584 Kb) Vi sono riportati anche alcui riferimenti bibliografici.

Sulla pagina Facebook di Bensos ho messo altre foto.

I pannolini lavabili sono davvero ecologici?

PannoliniCon la mia ultimogenita ho utilizzato pannolini lavabili fino a circa 1 anno di età. Avevamo accuratamente scelto la tipologia (All in 2), il materiale (cotone bio) e la marca (tedesca, molto conosciuta), con comodi bottoncini e praticità di utilizzo.

Nei primi mesi mi sono trovata bene: la bimba ha avuto poche irritazioni e l’ingombro non le ha impedito di cominciare a camminare presto (prima dell’anno di età).

Intorno all’anno abbiamo sospeso, per ragioni di tempo e di fatica: lavare e far asciugare i pannolini non è una cosa da poco, specialmente quando si lavora tutti e due…

 

Credo che dipenda molto dal fatto che la bimba, con l’introduzione dei pasti di tipo normale, senza più il latte materno, abbia fisiologicamente cambiato la consistenza delle feci, la cui asportazione precedente il lavaggio a macchina risulta ora molto più impegnativa.

Il vero problema però è un altro: ci siamo chiesti se i pannolini lavabili sono davvero ecologici! L’acqua calda che si consuma è veramente parecchia!

Forse potrebbero essere più sostenibili dei pannolini usa e getta compostabili.

Sul bisfenolo A

ScontriniIl bisfenolo A (BPA, C.A.S. nr. 80-05-7) e’ una sostanza di base nella produzione di plastiche utilizzate per la conservazione di alimenti, in particolare il policarbonato, ma anche alcune plastiche “sostitutive” ; e’ presente anche in molte paste per otturazioni dentarie e nella carta termica (scontrini, vecchi fax).

Il policarbonato è una plastica trasparente molto rigida, contrassegnata sul fondo dei contenitori dal numero 7 all’interno del simbolo con le freccette; è stato molto utilizzato per la produzione di biberon, attualmente è presente in cucina sottoforma di contenitori per alimenti.

Il bisfenolo A è sotto accusa per essere un interferente endocrino.
Dalle banche dati (RTECS e altre) vediamo che presenta inoltre tutta una serie di caratteristiche interessanti:

  • e’ bioaccumulabile nei tessuti adiposi (Log Kow = 3,32) e, come tale, trasmissibile al lattante attraverso il latte materno;
  • e’ un notevole genotossico;
  • e’ un notevole teratogeno (tossico per il feto in formazione).

Genotossicita’: fra i numerosi dati, spicca la formazione di micronuclei in linfociti umani a 12,3 mg/L/22h. Cio’ significa che siamo di fronte a una sostanza molto aggressiva verso il DNA delle cellule umane esaminate (linfociti), tanto che il sistema immunitario non e’ in grado di contrastare la formazione dei micronuclei (indicativi della forza di questo mutageno, unitamente alla bassa concentrazione gia’ sufficiente per rilevarne la tossicita’).

Teratogenicita’: fra i numerosi dati spiccano le anomalie neurologiche in feti di mammiferi (ratti) a 20 ug/Kg. Si tratta di una concentrazione attiva particolarmente bassa, ossia e’ sufficiente pochissima sostanza per manifestare l’azione tossica; pertanto, se si dovesse verificare che l’essere umano e’ in questo caso, come in numerosi casi, affine al ratto per risposta all’azione tossica, il dato sarebbe particolarmente preoccupante.

Per quanto riguarda l’interferenza con il sistema endocrino, troviamo dati sui ratti con concentrazioni molto preoccupanti (100 ug/Kg subcutaneo in topo; 5,9 mg/Kg subcutaneo in ratto; etc.).

L’Istituto Superiore di Sanita’ ha pubblicato approfondimenti a cura di Alberto Mantovani e Francesca Baldi – Reparto di Tossicologia Alimentare e Veterinaria – ISS, con alcune spiegazioni e indicazioni utili sui modi per diminuire l’esposizione a questa sostanza tossica. Eccone un estratto:

  • Non usare contenitori alimentari in policarbonato nel microonde. Il policarbonato è forte e durevole, ma con l’usura causata dal tempo e dalle temperature elevate potrebbe rilasciare BPA.
  • Ridurre l’uso di cibi in scatola, in particolare per i cibi caldi o liquidi. Optare, invece, per vetro, porcellana o contenitori di acciaio inox senza rivestimenti interni in plastica.
  • Se si vive in un paese extra-UE, scegliere biberon privi di BPA (in Europa, i biberon sono esenti da BPA già da anni).
  • Quando si usa una bottiglia di acqua in plastica, non ri-utilizzare più volte.
  • Adottare una accurata igiene orale in modo da ridurre la necessità di cure dentali.
  • Indossare i guanti se si maneggiano molti scontrini in carta termica.